Giovedì di coppa, giovedì da lupi allo stadio Olimpico per gli ottavi di Europa League tra i padroni di casa e gli ucraini dello Shakhtar Donetsk. La storia è una giostra e prima o poi il tuo passato tornerà sempre a bussare alla tua porta, così Fonseca ritrova l’ennesima sua ex squadra con la quale ha scritto pagine importanti. La carne al fuoco è, però, tanta quindi andiamo subito a rivedere il match.
Pau Lopez è il guardiano dei pali designato, ormai fisso sia in campionato che in Coppa. Scelta coraggiosa, quella di puntare su un portiere dato per finito, ma che sta ripagando alla grande. Pau è praticamente un altro giocatore rispetto al fantasma visto fino a qualche mese fa: sicuro tra i pali, reattivo nelle scelte, concentrato per tutti i novanta minuti, sempre al limite dell’area di rigore a suggerire il passaggio ai compagni. È in fiducia come forse non lo abbiamo visto mai, la linea difensiva si sente sicura e gli effetti sono ben visibili. Salva il risultato almeno quattro volte, contendendo la palma di migliore in campo al resto della squadra.
Mancini – Cristante – Kumbulla è il trio difensivo schierato in campo per contrastare le avanzate ucraine. Marash sforna una prestazione solida: è un frangiflutti su cui gli attaccanti si infrangono e tornano indietro, non lo superi, non lo sposti, non lo salti, da lì non si passa. Punto. Bryan, invece, alterna qualità nel palleggio e nella verticalizzazione improvvisa a chiusure da esperto difensore navigato. Sempre ottimamente posizionato col corpo, parte in anticipo leggendo bene l’azione e coprendo gli spazi. Mai in sofferenza, ne consegna a pieni mani alle punte avversarie.
Gianluca meriterebbe un turno di riposo, in fin dei conti anche il creatore il settimo giorno se ne concesse uno, perché lui no? Come un dio pagano comanda la difesa, giganteggia sugli avversari e li punisce con il suo perentorio colpo di testa. Acciaccato, invece di rifugiarsi tra le calde braccia della panchina, stringe i denti e lotta con la squadra, abbattendo le difficoltà e superando ogni ostacolo. Divino.
Se Mancini verrà studiato dalla NASA per appurare che sia realmente umano, parte del merito se lo prende anche Rick Karsdorp. Ogni volta che Gianluca sale, è lui che arretra sulla linea difensiva coprendo il varco, passa l’intera partita a cambiare ruolo: ala, terzino, difensore centrale e poi di nuovo tutto da capo. Mai in affanno, sempre lucido, spinge come un treno sulla fascia sia offensiva che difensiva, mostrando a tutti che oltre al fisico c’è anche la velocità nel suo repertorio. Andrebbe forse servito di più quando si propone in zona d’attacco, ma poi sarebbe troppo. Devastante.
In mediana un’altra pietra d’angolo della fortezza giallorossa: Diawara. Sempre presente, sempre libero, mette il fisico ovunque e contro chiunque, regge gli urti e fa ripartire l’azione con i giusti tempi. Accelera, rallenta, smista, si frappone e riparte con i suoi tempi, che poi sono quelli della squadra, facendo capire a tutti che è finalmente recuperato e che Jordan può guarire tranquillo. Al suo fianco il folletto Villar, che verrà presto sottoposto al test del carbonio-14 per stabilirne ufficialmente l’età. Un veterano del centrocampo che non sbaglia nulla con la palla tra i piedi, sempre fastidioso in marcatura, sfrutta la sua abilità per offendere e difendere comparendo contemporaneamente sia in attacco che in difesa. Ha il dono dell’ubiquità e non fa nulla per nasconderlo. Sfacciato.
A sinistra, l’unico che passa una brutta serata di tutta la compagine romanista, Leo Spinazzola. Intendiamoci, non è colpa sua e lui è la classica spina, appunto, nel fianco della difesa ucraina, ma viene costantemente raddoppiato e triplicato, sia con le buone che con le cattive. Nell’uno contro uno vince facile, gli avversari lo sanno e lo marcano sempre a coppia. Nonostante questo la sua prestazione resta positiva e il suo stato di forma, sia fisico che mentale, più che ottimo.
L’inizio match vede il peso dell’attacco sulle spalle del trio leggero Pedro, capitan Pellegrini e Mkitharyan. L’armeno, però, è costretto a lasciare il campo al minuto 34 al compagno Borja Mayoral causa infortunio al polpaccio, dopo aver cercato il gol dalla distanza sfruttando un errato rinvio del portiere. Peccato. Pedro si sente bene, in confidenza e ha voglia di strafare. Serve l’assist per il capitano che ci porta in vantaggio, ma poi nella ripresa esagera con l’estro e finisce sostituito da Fonseca che lo richiama all’ordine. Al suo posto El Shaarawy che, dopo aver sbagliato due invitanti palle gol, alla fine trova la rete tanto agognata festeggiata con una esplosione di gioia maestosa. Da lì in poi è un nuovo Stephan, con la mente finalmente sgombra, che si trova a suo agio anche in fase di copertura.
Paragrafo personalizzato per Lorenzo. Ok, ho scritto che non sa tirare in porta e lui mi ha prontamente smentito con un gran gol di esterno sul portiere in uscita, coverizzando quello di Edin sempre contro lo Shakthar nella Champions del 2018. Uomo ovunque della squadra, vince per distacco in ogni statistica a fine gara contro compagni e avversari, nessuno lo ferma mentre lui è in grado di arrestare l’avanzata di chiunque. Grande visione di gioco, vede il posizionamento dei compagni ancora prima che essi stessi siano lì e riesce a raggiungerli con deliziosi lanci sia alti che bassi. Come un simpatico ottuagenario ad Halloween, regala dolcetti a tutti i bimbi golosi che incontra e fa brutti scherzetti ai cattivelli che hanno intenzione di sporcargli il prato, dell’Olimpico. Padrone di casa.
Sul finire della gara rivediamo Ibanez, Carles Perez e Bruno Peres mandati in campo per far riposare i compagni a partita chiusa. Sostanzialmente buoni i loro minuti, si limitano a portare la nave in porto e poter dire “io c’ero”.
Sognare non costa nulla, ma davanti a questa Roma è meglio restare a occhi aperti perché il vero spettacolo è vederla giocare.
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