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Roma 3 – Manchester United 2 Ora è finita

Amiche e amici di fede giallorossa bentornati sulle pagine di Noi e la Roma per questa nuova revisione dell’ultima partita in Europa League della nostra squadra del cuore. Bando alle ciance e andiamo subito a rivivere le emozioni di questa semifinale di ritorno.

L’esautorato Fonseca, sul viale del tramonto, si affida al suo vecchio modulo che, ironia della sorte, sarà anche il modulo (si presume) del nuovo allenatore Mourinho: il caro 4 – 2 – 3 – 1. Mirante prende il posto tra i pali, Karsdorp terzino destro con Bruno Peres a sinistra, centrali di difesa Ibanez e Smalling; a centrocampo la coppia filtro Mancini Cristante dietro ai trequartisti Pellegrini, Mkitharyan e Pedro; unica punta, l’ex capitano, Edin Dzeko.

I novanta minuti più recuperi, spiegano benissimo la differenza che passa tra un portiere di calcio e Antonio Mirante: mentre i nostri avversari possono contare su un De Gea che avrebbe fermato pure l’acqua nella sala macchine del Titanic dopo lo scontro con l’iceberg, noi ci dobbiamo accontentare di un ex giocatore che ha avuto i suoi giorni migliori anni fa. Incerto, insicuro, impreciso, indecoroso. Nei minuti giocati tra andata e ritorno ha sul groppone la maggior parte dei gol inglesi. Sarà addio? Al calcio, però. Speriamo.

L’autonomia di Smalling è pressappoco quella di una elettrica in autostrada: 25 minuti e poi abbandona il campo per infortunio e lascia il posto al giovane Darboe. Sorvoliamo dignitosamente sulla prova dell’inglese e spendiamo poche parole per l’esordiente primavera: titolare fisso da qui alla fine. Senza se e senza ma. È pronto, reattivo, sempre in posizione, abile con la palla tra i piedi e costantemente sulle linee di passaggio avversarie. Un Diawara che, però, ci crede di più, ma soprattutto ci riesce.

Darboe e Zalewski. Segnate questi due nomi.

Senza lode, ma con qualche infamia, la prestazione di Roger. Sua la pessima chiusura su Cavani lanciato a rete: in quell’azione Ibanez fa tutto ciò che un difensore non dovrebbe fare. Lasciato solo contro l’uruguaiano, invece di correre in avanti per metterlo in fuorigioco rincula e lo tiene in posizione regolare; invece di tagliare verso di lui si allarga dalla parte opposta perdendo metri preziosi per rincorrerlo. Sul secondo gol lo lascia direttamente solo di battere a rete indisturbato. Che gli errori di stasera gli portino esperienza, perché comunque il ragazzo c’è.

Inizia sulla mediana Mancini e lo fa anche bene, ma causa Smalling arretra di nuovo in difesa dove da il meglio di se. Pressa, spinge, mena, litiga con tutti e fa passare una brutta notte al suo uomo. Sicurezza. Meglio di lui solo Cristante: il gol conferma gli enormi progressi fatti dal ragazzo con la palla tra i piedi e il match passato a recuperar palloni e spingersi costantemente in avanti il fatto che ormai Bryan è molto più di un ottimo rincalzo. Prego, sul carro c’è posto.

Batteria di trequarti tra alti e bassi continui. I tre si ritrovano tutti in campo dopo tanto tempo e mostrano i limiti di un affiatamento che c’era, ma che s’è perso strada facendo. In compenso, quando le idee collimano, è bello vederli roteare sul campo. Col passare dei minuti l’ossigeno finisce e ciò che comanda il cervello non riesce più alle gambe, ma tutti e tre ci provano e riprovano. Lo spagnolo, stremato, lascerà il campo a un altro primavera di cui sentiremo molto parlare: Zalewski. In confronto alla prestazione mostruosa del compagno di centrocampo, l’esterno sembra quasi un pesce fuor d’acqua e sicuramente avrà pagato dazio all’emozione, ma poi basta la palla giusta e il tiro leggermente deviato che finisce sotto le gambe del portiere per ritrovare sicurezza. Esordio e gol vittoria contro lo United. Non credo sia normale.

Cristante c’è. Cristante c’era. Cristante ci sarà sempre.

Dzeko, solo come un eremita sull’Himalaya il giorno di San Valentino, si ritrova a fare a botte con tutta la difesa del Manchester. Sbaglia molti controlli e troppe giocate, non quella del colpo di testa che al minuto 56 porta la Roma al pari. L’aura del campione che fu lo accompagna sempre e i movimenti sono spesso giusti e le idee pure, peccato ormai non riesca più a far combaciare i primi con le seconde, risultando spesso un punto di arresto della manovra, piuttosto che il suo punto di svolta. Insistere con lui anche l’anno prossimo sarebbe paragonabile all’accanimento terapeutico, idea mia di cui mi prendo tutte le responsabilità. Esce al 75esimo per Borja Mayoral che non riesce a incidere come avrebbe voluto.

L’avventura della Roma in Europa League finisce in semifinale, la squadra di Fonseca si arrende alla sfortuna, agli infortuni, alla incapacità delle varie terne arbitrali (tra andata e ritorno abbiamo visto episodi che dovrebbero spingere la UEFA a chiedersi perché ci sia tanta incapacità in giro per l’Europa), ma non agli inglesi. Abbiamo perso Veretout, Spinazzola, Smalling, Pau Lopez, Diawara, Villar e non abbiamo mai avuto Zaniolo, abbiamo giocato con Pedro e Mkitharyan a mezzo servizio e siamo dovuti ricorrere a due giocatori della primavera e a scongelare Santon dalla carbonite per completare gli undici da mandare in campo. Non è una lista di indisponibili: è un bollettino di guerra.

“Cara” UEFA: questo è rigore.

Fonseca lascia la Roma imbattuta in casa in questa corsa europea, con tanti rimpianti su ciò che sarebbe potuto essere e che non è stato, ma abbandona la competizione uscendo a testa altissima e da gran signore qual’è. Avrà le sue colpe, ma in questo momento non me la sento di dargli addosso.

Grazie Mister. Grazie e Forza Roma Sempre!

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