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Roma 2 – Lazio 0 Questa è ROMA

Amiche e amici di Noi e la Roma, bentornati sulle nostre pagine. Tra poco andremo ad analizzare la prestazione dei giallorossi nel derby contro la Lazio, quindi mettetevi comodi, stappate il Borghetti, in alto i cuori e andiamo a iniziare.

Fonseca si mette al servizio della Roma e schiera ancora la squadra con il 4-2-3-1 in fase di attacco, che diventerà un solido 4-4-2 nelle situazioni di non possesso passando per un offensivo 3-4-3 in ripartenza. Ancora fiducia a Fuzato, Darboe di nuovo titolare e la “sorpresa” El Shaarawy nel trio d’attacco.

L’undici titolare scelto da Fonseca per la sua ultima partita all’Olimpico

Partiamo proprio dal portiere brasiliano. Il giovane under 23 verdeoro sfoggia una prestazione maiuscola fatta di concentrazione totale, buoni riflessi e palle cubiche. Comanda la difesa con urli a ripetizione, mantenendo tutti sull’attenti, non ha paura e mostra tutto il suo coraggio quando al minuto 26 abbandona la linea di porta, nonostante due compagni su di essa a protezione, per andare incontro a Luis Alberto libero di calciare in area di rigore. Il risultato è un ottimo intervento che salva la Roma e spedisce la palla in corner. Si ripeterà per ben due volte su Immobile nel giro di due minuti, tra il 74esimo e il 76esimo, prima sfoggiando una reattività incredibile sul colpo di tacco sul primo palo, poi chiudendogli ogni possibilità di cross al centro in uscita e deviando ancora in corner. Fatelo giocare.

Linea difensiva a quattro, almeno in partenza, con ManciniIbanez al centro e Bruno Peres sulla sinistra con, ovviamente Karsdorp a destra. Gianluca è un lupo affamato di sangue, annulla gli attaccanti biancocelesti che hanno la sventura di passare per la sua zona e da sicurezza a tutto il reparto con interventi puliti e precisi. Roger gioca solo 37 minuti, prima di dover lasciare il campo a Kumbulla causa infortunio, ma si batte col coltello tra i denti andando sempre in anticipo sulle palle alte sparate da lontano, senza mai perdere un duello. Finisce a terra in uno scontro con Milinkovic-Savic che darà il via all’azione conclusasi con l’intervento di Fuzato in corner, ma è l’unica macchia prima della sostituzione.

Marash entra a freddo e gioca i restanti minuti del primo tempo a copertura della porta senza strafare. Passa buona parte dell’intervallo in campo a fare riscaldamento e al via della ripresa è un altro giocatore: roccioso, duro, concentrato e presente in partita. Buona prestazione per il numero 24.

Voi lo vedete Mkitharyan al centro? Dzeko si.

Bruno Peres, ancora fuori ruolo, inizia la sua partita con qualche timida folata in avanti, ma già al minuto 15 prende un giallo per un brutto fallo su Acerbi che condizionerà tutto il resto del suo match. Molto presente all’interno della partita, spezza le ripartenze degli avversari con preziosi anticipi quando l’azione si srotola sulla sua fascia. Santon prenderà il suo posto nell’intervallo e la sua prima mossa sarà quella di prendersi un giallo già dopo 60secondi dall’ingresso in campo. Capisce che non è aria per il gioco sporco e passa alla modalità pulita e tignosa. Più a suo agio quando si tratta di offendere che di difendere, mostra i limiti difensivi di una carriera da terzino di spinta, però se la cava quel tanto che basta da non mandare in sofferenza la squadra.

Fresco di convocazione nella lista provvisoria della nazionale olandese per Euro20-un-anno-dopo, Karsdorp macina chilometri e avversari come fossero tenero tonno in scatola e lui un grissino di adamantio. Dopo 18 minuti, Luis Alberto si trova una facile palla sul destro per la conclusione in porta, ma dal nulla sbuca questo platinato terzino che gli sradica pulito il pallone dal piede e riparte in attacco. È l’avvio di una partita stoica fatta di corsa per tutta la fascia, chiusure, contrasti e passaggi sempre precisi e puntuali. Era stato preso per la sua abilità di spinta sulla fascia, con Fonseca ha sviluppato il sadico gusto dell’interdizione e della difesa e, come un piranha affamato in una piscina affollata, si nutre del sapore del sangue degli avversari per tutti i novanta minuti. Epico.

Pellegrini c’è. Non si è arreso e ha mostrato a tutti come vincere questo derby.

Colonne d’Ercole davanti alla difesa Darboe e Cristante. Ebrima gioca da veterano in un derby in cui tanti hanno lasciato la lucidità nel borsone prima di lui. Impassibile e impassabile, mostra una superiorità imbarazzante contro avversari che rasentano il doppio dei suoi 19 anni. È su tutte le linee di passaggio laziali, sbuca da sotto il naso delle punte in raddoppio di marcatura, si gira e si volta danzando sul pallone con una fluidità inimmaginabile e sfiora la totalità di precisione nei passaggi ai compagni. Più gioca, più migliora. Esce dal campo dopo un derby vinto, giocato con intensità e concentrazione per novanta minuti, dopo aver corso chilometri e chilometri, eppure sembra sempre che per lui la partita sia appena iniziata. Non puoi spaventare con una partita di calcio, chi ha vissuto ciò che ha vissuto lui.

Cristante si affianca all’ex primavera e, come nei match precedenti, gli gioca affianco coprendo eventuali errori e incertezze del compagno. Quando anche lui si rende conto che non ce ne saranno, si sente libero di attaccare e spingersi in avanti. Proprio un suo inserimento al minuto 56 per poco non porta al raddoppio la Roma. In pressing asfissiante sui portatori di palla avversari, nella propria tre quarti campo, smista sfere di cuoio a destra e sinistra con lungimiranza e precisione. Dottor Bryan.

Batteria offensiva composta dal genio di Mkitharyan, dell’estroso El Shaarawy, da Capitan Pellegrini e dalla montagna incantata Edin Dzeko. Il folletto armeno passa la partita a sgusciare felpato tra le maglie della difesa laziale, cercando e trovando pertugi in cui inserirsi senza dare punti di riferimento a nessuno. Sgattaiola qui, scappa di lì, ecco che si trova tutto solo in area di rigore quando Dzeko salta chiunque e, al minuto 42, gli serve una palla morbida morbida da spingere con amore in rete. Uno a zero a tre minuti dalla metà gara. Il secondo tempo è giocato dall’armeno come una seconda punta che ruota alle spalle del bosniaco e di strappi palla al piede, improvvise accelerazioni che lasciano sul posto i lenti difendenti. Quanto ci sei mancato Miky!

La gioia di Pedro al raddoppio, con le braccia larghe ad abbracciare tutto il tifo giallorosso.

Stephan ritrova una maglia da titolare dopo tanto tempo e ci mostra che il suo recupero fisico è completo, ma manca ancora la condizione fisica: spesso ha idee interessanti per offendere la Lazio e servire i compagni, ma la testa al momento viaggia a una velocità doppia rispetto alle gambe, sfortunato in qualche occasione, non gli riesce molto di ciò che prova, ma non si arrende e una sua apertura per Dzeko lancia il compagno per l’azione del vantaggio giallorosso. Stremato, esce al minuto 71 per Pedro che, fresco e caricato a pallettoni, spaccherà la partita risultando semplicemente inarrestabile dagli avversari. Suo il gol del raddoppio con un’azione fatta di tecnica, stile, equilibrio e precisione al tiro da vedere e rivedere. Uomo in più.

Come El Shaarawy, anche il capitano gioca per 71 minuti prima di lasciare il campo a Gonzalo Villar. Sbrighiamo subito la pratica: lo spagnolo entra a venti minuti dalla fine giocando da trequartista e andando vicino al gol con un tiro di sinistro deviato in angolo; preziose giocate di prima, sarà proprio un suo colpo di tacco a lanciare Dzeko (sempre lui) nell’ennesimo duello con Acerbi che gli costerà il rosso per doppio giallo. Bentornato. Tornando a Pellegrini, in una serata di abnegazione e dedizione alla causa Lorenzo da il buon esempio e la squadra lo segue. Gioca con una gamba sola, finché ce la fa, e ciò spiega la scarsa precisione in appoggio e nell’ultimo passaggio. I calci da fermo no, perché quelli li tira male pure da sano. Capisce che non può giocare di tecnica e allora la butta sul fisico non risparmiandosi nei contrasti e nelle chiusure acrobatiche sugli sviluppi delle trame laziali. Coraggioso e giustificato.

Non è finita. Quanto manca? Sempre troppo, ma la gioia comincia a esplodere.

Ultima (?) partita all’Olimpico per Edin Dzeko e il destino vuole che sia nel derby. Il bosniaco decide allora di scaricare tutto il contachilometri, dar fondo a tutte le sue energie e sfoggiare l’argenteria buona della sua tecnica da numero 10. Contrasti, passaggi, dribbling gli riesce di tutto e contro tutti. Semplicemente irrefrenabile, pur con tutte le limitazioni che l’età gli impone, domina il fronte offensivo in lungo e in largo, divorando il campo e cagando fulmini che inceneriscono la retroguardia avversaria. Vorrebbe il gol, lo cerca, ma dio non vuole e allora si prende la standing ovation dai compagni (e idealmente da tutto il pubblico a casa) quando al 88esimo lascia il campo a Borja Mayoral, cinque minutini per lui: ingiudicabile. Il numero 9 saluta lo stadio ammantato di giallorosso con una prestazione superba fatta di maestria, esperienza e cattiveria agonistica. Il nove sulla schiena non è il numero di gioco, ma uno spoiler sul voto post gara.

Fonseca lascia lo stadio per l’ultima volta con una vittoria al derby giocato con il terzo portiere tra i pali, un primavera titolare, con una lista di indisponibili lunga quanto i rotoloni Regina e per di più con Ibanez che s’aggiunge dopo poco. Un uomo retto in un mondo di storti, lascia l’Olimpico dimostrando che con gli schemi giusti puoi giocartela contro chiunque, ma che per vincere sempre serve una rosa adeguata e la giusta dose di fortuna: cose che lui in due anni non ha mai avuto. Nella prossima partita casalinga ci sarà un altro portoghese sulla panchina della Roma, ma prima c’è l’ultima trasferta di Fonseca da onorare per render grazie al mister per il lavoro svolto ma, sopratutto, per averci scelto quando nessuno ci voleva.

Questa è ROMA

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