Nel breve tempo che scrivo di Roma mi è capitato raramente di essere così in difficoltà come questa volta nel raccontare una partita. Lo dico sinceramente. Anche perché, questa volta, una partita da raccontare semplicemente non c’è. Prestazioni da analizzare, valutare e dispiegare non ce ne sono e tutto si potrebbe racchiudere in poche parole: hanno fatto tutti schifo. Articolo finito, arrivederci a dopo Roma – Napoli.
Siccome, però, sono uno che analizza ciò che succede e non mi arrendo alle difficoltà, cercherò di fare del mio meglio per trovare una logica alla gara indegna svolta in Norvegia.
Mou sceglie di rivoluzionare totalmente la squadra cambiando ben 9 giocatori su 11, lasciando i soli Rui Patricio (ma a sto punto non conveniva mettere pure Fuzato?) e Ibanez come punti di continuità. Primo, gravissimo errore e la partita non è nemmeno iniziata. Si perché, dal mio punto di vista, anche mister 25 trofei può commettere errori e sottolinearli quando li fa non mi sembra un atto di lesa maestà.
Ci può stare il discorso “ok, mi avete fatto una testa quadrata coi panchinari che non giocano oggi vi faccio vedere perché”, ma non così e non tutti insieme. Perché ieri non ha perso Mourinho, il cui status non potrà mai essere scalfito, non ha perso Kumbulla o Villar o chi per loro, di certo non hanno perso i 400 mitici, eroici, stoici, pazzi innamorati che erano in curva al Polo Nord: ieri ha perso la ROMA.
Che i sostituti non fossero all’altezza dei titolari penso fosse palese anche a chi del calcio non conosce le regole, tipo Orsato, ma qualcuno più intelligente di me deve venire qui a spiegarmi il senso di metterli tutti e 9 contemporaneamente in campo anche di fronte a una squadra non di pari rango. Che poi, piccola digressione, se nel 2021 stiamo ancora a guardare la lega di provenienza o il monte ingaggi per giudicare una squadra allora ci meritiamo l’esclusione da qualsiasi competizione mondiale.
Abbiamo sempre detto che in una squadra è importante l’amalgama, il conoscersi, il sapere i tempi e le giocate dei compagni; abbiamo sempre ribadito come il concetto di “tempo” sia importante in questo nuovo capitolo della squadra proprio perché questo serviva per creare un gruppo, una base, impiantare della fondamenta nel terreno per costruire qualcosa di duraturo e non un fuoco di paglia. Eppure, nonostante questo, qualcuno ha ben pensato che schierare 9 giocatori che non hanno mai condiviso 90 minuti di campo in partite ufficiali potesse essere un’idea vincente.
Cosa succede in questi casi? Esattamente quello che è successo ieri: squadra slegata, troppa distanza tra i reparti, tutti ancorati alla propria mattonella per non sbagliare, nessuno che improvvisa o legge in anticipo i tempi di gioco (tipo il mediano che, a difesa schierata, sale in pressing sul giocatore avversario che da fuori area sta tentando il tiro dalla distanza). Perché non c’è coesione, non c’è sintonia, non c’è squadra.
Ieri nessuno dettava i tempi, nessuno leggeva il match, nessuno aveva la forza di guidare i compagni e nessuno, allenatore compreso, si è preso la briga di cambiare il canovaccio tattico scelto, ammesso ce ne fosse uno. L’unico è stato Cristante nella seconda metà del secondo tempo quando ormai i buoi erano scappati dalla stalla.
Sento dire che la colpa è dei giocatori che non sono al livello, poi leggo che Ibanez, Diawara erano titolari contro l’Ajax ai quarti di finale l’anno scorso e che Villar, Calafiori, Perez e Mayoral sono entrati a partita in corso. Non voglio fare la “vedova” di Fonseca, ma non rimpiango nulla del nostro recente passato e anche se l’attuale allenatore è un upgrade rispetto al precedente, non penso di essere in torto quando affermo che è facile far fare il campione a un campione, molto più complicato far fare il campione a chi non lo è.
Mourinho non ha sbagliato, quello che aveva in testa di fare gli è riuscito fin troppo bene: il disastro è stato epico oltre ogni più rosea aspettativa. Voleva dare un messaggio, perché evidentemente pensava che le parole condite da faccette al vetriolo non fossero arrivate a destinazione. Bravo mister, ci sei riuscito, ma ora?
Ora hai un spogliatoio spaccato in due, con i titolari che non si sentiranno più in discussione e con le riserve che si sentiranno inadeguate e inutili alla causa. Da una situazione del genere possono nascere solo due alternative:
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i sostituti reagiscono di orgoglio e grinta e si impegnano a smentire l’allenatore, reagendo allo schiaffo preso in Norvegia
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si crea un dislivello insanabile tra chi gioca e chi no rendendo inutile e deleterio l’inserimento dalla panchina di giocatori in caso di infortuni o squalifiche.
Intendiamoci, non voglio fare da scudo scaricando le colpe sull’allenatore alle prestazioni di Reynolds, Kumbulla, Calafiori, Villar, Darboe, Perez e Mayoral che hanno offerto la peggior esibizione della loro intera carriera fin qui. L’unico aggettivo che mi viene per raccontare il loro match di ieri sera è indegni, quindi capite bene che non voglio giustificare o assolvere nessuno.
Se loro hanno la loro percentuale di colpa, però, ce l’ha anche chi li ha mandati in campo tutti insieme, chi vista l’imbarcata non ha messo in atto un sistema di gioco atto a evitare l’umiliazione, chi ha partorito e avvallato tutto ciò che s’è manifestato ieri. Il pesce puzza dalla testa e se quando si vince è anche merito del mister, ugualmente e a maggior ragione lo è anche in caso di sconfitta. Non c’è nessuno che dalla Norvegia torni con la camicia pulita. Nessuno.
Detto ciò, vorrei ringraziare chi ha portato con orgoglio i nostri colori, chi ha innalzato i vessilli e non ha fatto mancare l’amore, chi ha sfidato i costi, il viaggio e il meteo e ha vinto per stare vicino alla Roma: i 400 tifosi sugli spalti. Voi, ragazzi e ragazze, siete sempre il cuore di Roma.
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