La grande delusione causata dalla sconfitta rimediata a Cagliari, non può sbiadirsi con la dichiarazione di Fonseca che afferma che a Manchester la Roma non andrà a difendersi.
E poco importa al tifoso, che la quadra abbia staccato la spina in campionato perché sarebbe impossibile conquistare il quarto posto. Questi ragionamenti, laddove sposati, sono indegni della fierezza del popolo giallorosso. Quel popolo che macina chilometri, che attende ore per assistere all’incontro allo stadio, che ingurgita un panino frettolosamente al freddo sugli spalti, che piange per l’addio al calcio di qualche sua bandiera, che s’incazza se l’arbitraggio è iniquo e condiziona il risultato.
Il tifoso giallorosso deve essere rispettato solamente in virtù dell’amore e della passione che ha sempre per quei colori che rispetta nonostante tutto e tutti.
Come qualcuno disse un tempo “i giocatori, gli allenatori, i presidenti passano. Ma i colori della Roma, no!”.
Chi scrive, potrebbe dire che se ne frega di giovedì prossimo perché sente che l’amore per la Roma proveniente da tifosi giallorossi sparsi nel mondo, è stato brutalmente calpestato.
Eppure, parliamo di atleti che guadagnano in un anno quanto noi non potremmo raccogliere in tutta la nostra vita. Parliamo di un lavoro che per molti sarebbe considerato un divertimento. Parliamo di persone che al di fuori del rettangolo verde sono amate e, perfino adorate in qualche caso, a cui tutto è concesso e tutto gli deve essere riconosciuto.
Non mi va di parlare di una partita che ha visto sempre il ripetitivo gioco che anche nel lontano Lesotho oramai conoscono: palla all’indietro all’infinito anche se si arriva ai bordi dell’area avversaria per ricominciare una ragnatela che, prima o poi, denuncia quell’imprecisione che favorisce l’avversario che ha buone possibilità di presentarsi davanti al nostro portiere quasi da solo.
I contropassaggi velenosi che i giallorossi applicano sempre, sono il pratico esempio che nessuno (tranne rare eccezioni) ha il coraggio di saltare il suo avversario. Fateci caso: palla a Bruno Peres che la passa a Smalling e da questi a Mancini che la smista a Villar e questo l’allunga a Diawara che passa nuovamente a Mancini che la rimista all’indietro fino a quando il pressing degli avversari ci costringere ad indietreggiare abbassando il baricentro e scollando l’attacco ed il centrocampo. Poche le sortite fatte in velocità con due, tre passaggi al massimo e rari i tentativi di fare dribbling smarcanti.
Ho visto Tarzan Annoni, prelevato dal Torino. Sinceramente aveva i piedi quadrati ma, porca miseria, correva e rincorreva per onorare la maglia. E di comprimari come Annoni, la Roma ne ha visti tanti e tutti (pippe e non) hanno cercato di superare i loro limiti quanto meno con l’idea di attaccamento.
Si dirà che quello è la vecchia versione del calcio e che oggi siamo arrivati alle nuove uscite come Calcio 4.0 dove tutto è virtuale e tutto non rispecchia i valori di una volta. Sarà, ma personalmente mi incazzo come un turco a cui sono terminate le sigarette, vedendo celebrati “campioni” che si cagano sotto e non si assumono alcuna responsabilità pensando che, prima o poi, qualche loro compagno di squadra sbroglierà la matassa.
Probabilmente, più di qualcuno dirà che i conti si fanno alla fine ma ciò non toglie il fatto che oggettivamente la squadra e i suoi dirigenti ad iniziare da Fonseca, hanno tolto la spina. Giusto aggrapparsi all’illusione di vincere l’Europa League? Sicuro che a Manchester sfileranno undici giallorossi con il sangue agli occhi ed il dente avvelenato? Se così si dovesse dimostrare, allora Fonseca ha copiato l’allenatore de “Il presidente del Borgorosso football club” interpretato da Carlo Taranto che scimmiottava Helenio Herrera e che ad ogni sconfitta spiegava che si trattava solamente di una tattica voluta per confondere gli avversari…
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