Søren Kierkegaard diceva che la vita può essere capita solo all’indietro, ma va vissuta in avanti. Il tempo è forse un perfido gioco di prestigio che determina le nostre esistenze ma che, non avendo la nostra dimensione le caratteristiche di un buco nero laddove il tempo non esiste, dobbiamo subirlo.
Trent’anni rappresentano almeno un paio di generazioni e gli esponenziali cambiamenti avvenuti a velocità vertiginosa rendono questi, ancor più lontani da tutti coloro che tre decenni fa aprendo il giornale o vedendo un qualsiasi telegiornale, appresero la notizia che Agostino si era suicidato.
Chiudo gli occhi e la mente precipita in Sud e mi trovo sommerso dal tifo giallorosso in una qualsiasi partita della Roma, divenuta ‘magica’ grazie alla caparbietà e all’amore profuso dall’ing. Dino Viola che riuscì a trasformare la simpatica Rometta, in una delle più belle realtà calcistiche degli anni ’80 riportando nella Capitale un tricolore che mancava da 41 anni.
Era la Roma sponsorizzata dalla Barilla, e chi a quei tempi c’era non può non ricordare lo spot realizzato dai pastai di Parma interpretato da un bambino tifoso romanista che dinnanzi allo stadio ascoltava la radiolina per seguire la partita della sua squadra fino a quando un addetto agli ingressi, accortosi della presenza del piccolo, non gli concede la possibilità di entrare all’interno dell’Olimpico per seguire la Roma.
Era anche la Roma che sponsorizzava la campagna istituzionale di sensibilizzazione per tenere Roma pulita, dove tutti i giocatori si ritrovano per le vie della città giocando a calcio con una lattina fino a farla finire, con un tiro, all’interno del secchione dei rifiuti.
Un tempo oramai remoto che riempie di nostalgia chi l’ha vissuto e di curiosità chi non c’era per questioni anagrafiche.
Capitano di quella compagine era lui, Agostino Di Bartolomei caratterizzato da un sorriso triste e da una sensibilità fuori dal comune. Come fuori dal comune era anche il suo attaccamento a quella Roma della quale era tifoso da sempre.
I ricordi mi portano a rivivere le punizioni da lui calciate che venivano anticipate dal coro della curva che gridava il suo nome, certi che non sarebbero mai state banali.
Lo rivedo nella notte del 30 maggio 1984 quando si avvicina al dischetto del rigore per battere quel penalty che ci avrebbe portato in vantaggio contro il Liverpool nella notte della Coppa dei Campioni: il serio cipiglio che resettava la tensione di tirare un pallone pesantissimo terminato poi in rete.
Dieci anni dopo, Ago il Capitano, decideva di chiudere la sua terrena esistenza per ragioni che appartengono solo a lui e mi riaffiorano le parole del poeta Fabrizio De André nella sua Tutti morimmo a stento:
Ingoiando l’ultima voce
Tirando calci al vento
Vedemmo sfumare la luce
L’urlo travolse il sole
L’aria divenne stretta
Cristalli di parole
L’ultima bestemmia detta
Prima che fosse finita
Ricordammo a chi vive ancora
Che il prezzo fu la vita…
Non ci sono parole per commentare l’ingratitudine della Roma nei suoi confronti quando invece avrebbe dovuto tenerlo tra le sue file per quanto rappresentava ai tifosi e per onorare la sua fede giallorossa.
Oggi sappiamo che nell’inutile incontro che verrà disputato a Perth tra Roma e Milan per soli scopi di marketing, Di Bartolomei verrà onorato con una patch sulle maglie di entrambe le squadre che hanno avuto la fortuna di averlo come giocatore. Un contentino che lascia l’amaro in bocca a chi ha apprezzato l’uomo Agostino prima ancora che il calciatore.
Pur restando le sue vecchie foto virate seppia dove si vede un altro calcio e un tempo passato troppo in fretta, Agostino il Capitano sarà sempre l’inossidabile giocatore che, pur non apparendo, era il vero protagonista di una squadra che ha saputo rendere fieri milioni di tifosi che non lo hanno mai scordato.
A Marisa e a Luca, un sincero abbraccio e un bacio al cielo per Ago.
Comments are closed.