Molti sono i tifosi della Roma che non hanno mai vissuto la loro squadra disputare una finale e non hanno idea di cosa può essere condividere una passione che affonda le sue radici sul DNA di generazioni di amanti del calcio della unica squadra della Capitale che si è passato, nel corso del tempo, il testimone.
Il luogo comune che noi conosciamo bene è quello che recita che vincere a Roma è qualcosa di indescrivibile tanto che, quando assistiamo ai festeggiamenti di altre squadre che vedono radunate – quando va bene – qualche migliaio di persone, ci appare tutto molto triste.
Differente del coinvolgimento che unisce il tifo giallorosso che da Roma a Manila passando per New York, L’Avana, Londra, Montreal e via dicendo, sfoga il proprio amore come se fossimo tutti pazzi. In effetti, e non poco, lo siamo quando vediamo trionfare i nostri colori che conquistano qualcosa contro tutto e tutti.
Chi scrive ha avuto la fortuna di vedere due dei tre scudetti, qualche Coppa Italia, la finale di Coppa Campioni, il trofeo Anglo-Italiano e, addirittura, la Coppa delle Fiere.
Ricordo calciatori come Giacomino Losi, piedone Manfredini, Cudicini, Bet, Scaratti, Taccola, Landini, Spinosi, Capello, Amarildo, Del Sol fino alla mitica Roma dello scudetto di Liedholm con Ago, Conti, Falcao ma anche con Righetti, Maldera, Strukely, dodo Chierico e via dicendo.
Ho macinato km rischiando le botte – prese e date – a Bergamo, Firenze, Avellino, Milano, Catania, Lecce e fatto trasferte mitiche come quella a Monaco di Baviera ma anche a Praga e ancora in giro per l’Europa.
Sono riuscito a rimediare per Roma Liverpool di quel maledetto 30 maggio biglietti comprati da un amico greco che li aveva chiesti ad un suo conoscente che viveva in Inghilterra e che ho ritirato a Fiumicino dalle mani di un pilota della Olympic Airways ma che poi ho scambiato con quelli della mia curva Sud e dove, già delle sei di mattina, stavo in fila davanti al cancello per entrare nel vero Olimpico dove sono restato fino alla mezzanotte per poi raggiungere mestamente il Circo Massimo dove Antonello aveva appena terminato di cantare Grazie Roma.
Posso arrogarmi la presunzione di essere un tifoso – un tempo iscritto al Roma Club Boccea abitando a Primavalle – che ha gioito ma che ha sofferto molto di più e basta ripensare a quella finale di CdC o a quel Roma-Lecce che doveva celebrare un tricolore perso dalla squadra che a mio avviso ha espresso il miglior gioco possibile tra tutte le formazioni che ho avuto la fortuna di vedere.
Anche se sono trascorsi anni luce ricordo bene gli incidenti originati dallo scandaloso arbitraggio di Michelotti da Parma e molti altri ancora che passano davanti alla mia memoria come se fossero istantanee conservate nonostante tutto. Questo per dire che quanto avverrà a Tirana, resterà indelebilmente impresso nella memoria di tutti noi che al solo pensiero della nostra Roma, ci sentiamo il cuore aumentare le pulsazioni e la saliva improvvisamente azzerarsi dentro la bocca.
Siamo la Roma, siamo amici anche se sconosciuti, siamo complici, amanti, fratelli, genitori e figli ammalati della stessa infermità rappresentata da quel senso di unicità che raccoglie i fasti dell’antica Roma imperiale ma anche le ribellioni del popolo contro la Roma Papalina in un mix che coniuga Giulio Cesare con la Repubblica Romana e Cola di Rienzo.
In fondo in tutti noi c’è sempre e sempre ci sarà quel Pasquino ironico e beffardo che dice sempre la verità e per questa ragione è inviso dai potenti.
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