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La favola candida di Damiano Tommasi

Basta pronunciare il suo nome e cognome e già ti batte il cuore perché ti tornano alla mente solo cose belle, vissute con grande emozione ed intensità, perché sai che il suo modo di essere uomo e calciatore non ha eguali e rappresenterà per sempre un fervido esempio di professionalità e dedizione.

La sua storia è ricca di episodi che sono stati raccontati più volte e in tutte le salse pertanto non starò qui a ripetere quello che già conoscete in tutti dettagli ma cercherò di spiegarvi quello che per me ha rappresentato Damiano Tommasi ovvero tutto ciò che un tifoso vuole sempre vedere nel calciatore in cui crede: impegno, dedizione, serietà, discrezione, umiltà, altruismo abbinate ad una incommensurabile voglia di migliorare sempre.

Si dirà che è una storia anacronistica, ormai del tutto sganciata dalle dinamiche dei tempi moderni ove un bravo calciatore, dopo appena dieci partite giocate a buon livello, già bussa alla porta del Presidente per ottenere il classico adeguamento dell’ingaggio ma in realtà la favola di Tommasi non è poi così vetusta se si tiene conto che la sua carriera professionistica si è esaurita appena 10 anni fa all’età di 36 anni.

Arriva a Roma nel Luglio del 1996 allorquando il buon Franco Sensi decide di affidare il timone della squadra al pluridecorato tecnico argentino (solo in patria per la verità) Carlos Bianchi che poi verrà esonerato nel corso della stagione anche a causa di scelte alquanto discutibili quali la paventata cessione alla Sampdoria (fortunatamente scongiurata) di Francesco Totti.

La stagione 1996 – 1997, piuttosto sciagurata, vede però il nostro Damiano disputare ben 30 partite.

Il suo arrivo, per la verità, era stato accolto con notevole malumore e scetticismo da buona parte della tifoseria che non vedeva di buon occhio l’approdo a Trigoria di un calciatore non estremamente dotato dal punto di vista tecnico, dedito più alla corsa che alla costruzione del gioco.

Le sue prime apparizioni sono anzi condite da fischi di disapprovazione, insulti e gestacci non proprio ripetibili e l’arrivo di Zeman l’anno successivo, nonostante la sua costante collocazione nel centrocampo giallorosso al fianco di Eusebio di Francesco e Luigi di Biagio, non migliora di certo il suo rapporto con la tifoseria che continua a rimproverargli la poca dimestichezza con il pallone.

E’ un periodo alquanto difficile quello vissuto dalla Roma alla fine degli anni novanta: la squadra mostra un gioco anche piacevole grazie agli schemi zemaniani ma inevitabilmente patisce il confronto con i dirimpettai laziali che hanno allestito un organico straordinario in grado di lottare per tutti gli obiettivi nazionali ed internazionali.

Insomma, mentre la Lazio di Cragnotti miete successi e trofei importanti quali il titolo nazionale e la Coppa delle Coppe, la povera Roma arranca riuscendo ad arrivare a stento al quinto posto utile a disputare la Coppa Uefa.

Franco Sensi, stufo di vedere i cugini laziali in cima all’olimpo, decide di portare a Roma il tecnico dei tecnici, il più vincente di tutti ovvero Fabio Capello ed allora la storia muta il suo corso così come quella di Damiano Tommasi che diventa il perno inamovibile della squadra che conquisterà il titolo nazionale nella stagione 2000 – 2001.

E’ un altro giocatore, sembra completamente trasformato, sforna assist e mette a segno gol belli ed importanti come quello di Bergamo contro una indomita Atalanta che sarà battuta per 2-1: il pugno nella pioggia a Bergamo è forse l’immagine più bella della Roma campione d’Italia.

Lo speaker dell’Olimpico lo battezza come “anima candida” ed entra definitivamente nel cuore dei sostenitori giallorossi cancellando quindi tutti i dubbi e le perplessità che sino a quel momento avevano accompagnato il suo percorso in giallorosso.

Disputerà altre stagioni con la maglia della nostra amata fino al grave infortunio patito nel 2004 che lo terrà lontano dai campi di gioco per ben 15 mesi

Chiunque avrebbe smesso di giocare ma lui il 30 ottobre 2005, proprio 15 mesi dopo, torna in campo negli ultimi minuti di una partita con l’Ascoli che la Roma sta vincendo 1-0 ma che poi, dopo il pareggio dei marchigiani, viene decisa da un pesante gol di Mexes.

Considera il ritorno al calcio giocato il più grande successo della sua carriera e il primo gol dopo il rientro, con la Fiorentina, quello più importante. «Sì, la seconda parte della mia carriera a Roma è stata la più bella. Il rientro dopo l’infortunio e aver lasciato il segno in quella stagione è stata la mia più grande soddisfazione. E i tifosi mi hanno riconosciuto ciò che sono stato e ciò che sono riuscito a fare con la maglia della Roma».

Decide addirittura di giocare un anno al minimo sindacale di stipendio, lui che qualche anno prima s’era preso i pesanti insulti dei soliti psuedo tifosi che avevano necessità di trovare un capro espiatorio per il comunicato sui premi della Supercoppa.

Udite udite: Damiano Tommasi, il calciatore avido di denaro, indossa la maglia della Roma percependo soli 1.700,00 euro al mese.

Eusebio Di Francesco racconta che una volta, gli stessi pseudo tifosi di cui sopra, avevano addirittura impedito al buon Damiano Tommasi di allenarsi regolarmente costringendolo a tornare negli spogliatoi: storie che si ripetono stancamente ed il cui spartito, suonato da individui la cui madre è sempre prena, non cesserà mai di perpetrarsi.

Pazienza, resta il ricordo di un uomo vero e di una favola bella che fortunatamente continuerà ad essere raccontata per rendere migliore il mondo in cui viviamo ovvero meno tondo ma, si spera, un po’ più quadrato.

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