Mentirei se dicessi che rivedere la partita e scriverne non mi è costato fatica, ma per quanto vorrei esimermi dall’analizzare questa prestazione non posso e quindi eccomi qui.
Tifosi romanisti, bentornati nell’inferno di Roma – Inter.
Privo di Spinazzola, Karsdorp, Pellegrini, El Shaarawy, Carles Perez e Abraham, Mou sceglie un assetto tattico molto offensivo, con una difesa a cinque, centrocampo a tre e mezzo, con una punta sola e l’altra metà avanzata dalla linea mediana del campo. Situazioni disperate richiedono soluzioni disperate ed è ciò che il tecnico portoghese rischia contro i nerazzurri.
Rui Patricio confermato in porta, abbandona l’idea della porta inviolata già dopo 14 minuti prendendo il gol che, di fatto, chiude la partita: calcio d’angolo a rientrare di Chalanoglu, Zaniolo buca l’intervento, la palla gli compare improvvisamente davanti, passa in mezzo alle gambe e gol. Non paga, la sfortuna, si ripresenta al 24esimo sul tiro di Dzeko deviato quel tanto che basta da Kumbulla per passarlo nuovamente, prima che Dumfries siglasse il definitivo tre a zero. In mezzo solo una bella parata a disinnescare un pericoloso tiro incrociato, sempre del bosniaco.
Linea difensiva con Ibanez terzino destro, Viña a sinistra e il trio Mancini – Smalling – Kumbulla centrali. Se Mathias è un terzino e lo sa fare, Roger non lo è assolutamente e l’Inter lo sa concentrando tutti gli attacchi sulla sua fascia di competenza. Il brasiliano non è in grado né di coprire né di offendere sulla corsia e di conseguenza i meneghini fanno quello che cavolo gli pare.
Non è che le cose dall’altro lato siano poi tanto migliori, almeno per quanto riguarda la capacità d’attacco. L’uruguaiano deve giocare bloccato sulla linea della difesa, lo fa, quindi copre e non spinge e di conseguenza perde più della metà del suo potenziale.
Le cose al centro vanno pure peggio: i tre dovrebbero fare densità e impedire il gioco nel fulcro dell’area giallorossa, cosa che non riesce perfettamente e Dzeko infatti ringrazia. Buttarla in caciara per cercare di disorientare gli avversari non ha funzionato e in confusione ci siamo andati noi.
Linea mediana con Cristante, Veretout e Mkhitaryan. Anche qui, due su tre hanno solo compiti di interdizione e ripartenza, ma cosa ti vuoi interdire se gli avversari di passare per la tua mattonella non hanno proprio nessuna voglia? Infatti Jordan e Bryan girano a vuoto senza nulla da fare e senza riuscire a fare nulla. L’armeno è quello che dovrebbe dare una mano a Roger a contrastare le continue sovrapposizioni sulla destra degli avversari, ma sono più le volte che lo lascia solo contro due che quelle in cui riesce a fare qualcosa. Ovviamente, siccome il compito è “non prenderle”, tutti e tre sono pressoché nulli in fase di attacco.
Zaniolo è il mezzo e mezzo, nel senso che in fase di copertura si abbassa a fare il trequartista e in ripartenza si alza affianco la punta per giocare a due. Purtroppo palle giocabili ne tocca davvero poche e, salvo rarissime eccezioni, si incaponisce sempre nel cercare di fare tutto da solo. Il dialogo con Shomurodov è sostanzialmente assente, il fraseggio col centrocampo non pervenuto e lui continua in questa sua via crucis in cui tenta di risolvere autonomamente le partite.
Chiude la formazione l’uzbeko ex Genoa. Sappiamo che fosse in campo più per l’annuncio dello speaker a inizio partita che per le giocate che fa. Abbandonato a se stesso lì davanti, solo contro tre, può veramente poco e infatti non combina niente. No, non è colpa sua: l’idea tattica del mister prevede proprio l’abbandono del giocatore nella terra di nessuno e nella speranza che la divina provvidenza intervenga a dargli una mano. Spoiler: non è intervenuta.
Breve, ma affossante, giro di cambi con Kumbulla che lascia il campo dopo un’ora per Bove e Veretout che esce a tre minuti dalla fine per Volpato.
C’è altro da dire? No, la tristezza risiede proprio nel fatto che Roma – Inter è durata quindici minuti, già al primo gol subito, infatti, il castello di carte messo in piedi da Mou per arginare i milanesi è caduto malamente e non è stato più possibile ritirarlo su. I nerazzurri hanno fatto tutto quello che volevano, quando volevano, come volevano, senza incontrare la benché minima resistenza o reazione. Alla fine della fiera, ci tocca pure ringraziarli per essersi fermati o un altro cappotto non ce lo avrebbe tolto nessuno. Si, sto parlando di una umiliazione totale perché quella è stata.
La squadra esce dal campo mortificata, distrutta e surclassata sia sul piano tecnico che sul piano fisico da un’avversaria che più che di un altro pianeta sembrava proprio facesse un altro sport. Chi, invece, abbandona il catino dell’Olimpico tra gli applausi sono tutti i tifosi che, dalla metà del secondo tempo (che in pratica non si è giocato) fin oltre il fischio finale, si sono sgolati nel canto e nel tifo scrivendo una delle pagine più belle della lunga enciclopedia del tifo romanista.
Alè Alè Roma Alè.
Comments are closed.