Nel giorno del ricordo di Maradona, con lunghe trasmissioni, documentari, commenti di giornalisti e sportivi, oltre ai ricordi di semplici tifosi ed appassionati, c’è un aspetto che probabilmente non è stato totalmente evidenziato. Diego era la perfetta incarnazione della frase “giocatore in grado di farti vincere da solo le partite”. E non soltanto una singola partita.
Riavvolgendo il nastro fino a quel Mondiale del 1986 è chiaro a tutti il fatto che quell’Argentina che vinse la Coppa del Mondo fosse una squadra di onesti comprimari al servizio del N.10. E che la Francia, l’Inghilterra e la Germania fossero Nazionali più attrezzate e di gran lunga superiori all’Albiceleste. Stesso discorso per il Napoli due volte scudettato, con il dovuto rispetto e senza nulla togliere al valore di giocatori come Careca, Alemao, Nando De Napoli ed altri ancora.
Tornando ai giorni nostri l’uso di questa affermazione è costante e sempre di moda, in una narrazione nella quale risulta fondamentale identificare il giocatore in rosa che fa la differenza, quello che ti assicura la vittoria e i 3 punti grazie alla sua prestazione, in un contesto però diverso da quello della leggenda Argentina. Perché non essendoci ad oggi in Serie A giocatori di quel livello, si tende a dimenticare chi alle spalle dell’uomo squadra, permette l’esaltazione delle doti di quest’ultimo.
E cosi il Milan capolista vittorioso a Napoli è Ibra-dipendente. Tanto che, con lo svedese è fermo ai box per un infortunio, il pareggio contro lo spauracchio Lille viene accolto con soddisfazione proprio perché ottenuto nonostante l’assenza della punta. Cosa che in qualche modo succede a Torino, sponda bianconera, dove Ronaldo continua a decidere le attuali sorti della Juventus grazie ai suoi gol.
Potrei nominare Immobile per la Lazio o Lukaku per l’Inter ma mi fermo qui. Perché andando avanti ad elencare le squadre dovrei per forza di cose imbattermi nella Roma. E nel provare ad identificare un uomo squadra mi stupirei del fatto che in questo piccolo scorcio di stagione, ho avuto il piacere di non leggere “Roma Dzeko-dipendente o Roma Mkhitaryan-dipendente”.
Lo dico con una piccola nota di veleno, la Roma in realtà continua ad essere squadra poco considerata dalla stampa, anche quando ottiene una qualificazione con due turni di anticipo dominando un girone che, va detto senza nascondersi dietro un dito, non era assolutamente impossibile. L’aspetto che però in questo articolo mi preme evidenziare è che i 10 punti ottenuti nei 4 match disputati sono figli di una difesa solida, di una squadra che ha disputato buone partite dal punto di vista tattico ed infine di una gestione perfetta degli uomini che trova la sua massima espressione nel match di ieri.
Una coppia di centrali inedita, Spinazzola e Calafiori terzini bassi, Diawara al rientro dopo un lungo stop … insomma c’erano tutte le premesse per “accontentarsi di un pareggio in Romania”. Ed invece no. Perché sono bastati un paio di cambi per dare una svolta alla partita raggiungendo un altro obiettivo fondamentale, quello di far riposare i titolari che dovrebbero cominciare dal primo minuto il match contro il Napoli.
E allora, se proprio volessimo allinearci a quanto scritto sopra, è giusto definire questa Roma totalmente Fonseca-dipendente. Una squadra che segue perfettamente le idee del suo mister che, anche dinanzi all’emergenza più completa nel reparto difensivo, trova una soluzione perfetta che permette alla squadra di dominare le partite facendo a meno del suo uomo più importante.
E allora lunga vita al mister portoghese, un condottiero bravo e silenzioso, che pensa solo a preparare la partita allontanando ogni possibile pensiero di lamentela dettata dalla lista di giocatori in infermeria. Un tecnico in grado di rivitalizzare giocatori come Peres e Karsdorp, far diventare Spinazzola uno dei migliori terzini sinistri della Serie A, di lanciare Villar e trovare una posizione perfetta in campo per Cristante e Pellegrini.
E sorrido al pensiero di ciò che fino a qualche giorno prima del suo arrivo poteva essere. Perché apparentemente sarebbe bastato poco e ci saremmo ritrovati in panchina a chi fa del lagnarsi proprio uno dei suoi cavalli di battaglia.
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