Esistono giocatori che in carriera hanno vinto poco o niente, che non sono mai stati delle cime ma che sono rimasti nell’immaginario del tifoso medio perché in campo hanno sempre dato tutto quello che avevano senza mai chiedere in cambio onori né glorie?
La risposta, almeno per quel che ci riguarda, è affermativa; nella categoria, piuttosto corposa, dei cosiddetti gregari dal cuore tenero e dagli scarpini sempre infangati al pari delle maglie, si deve assolutamente annoverare il grande Giovanni Piacentini, protagonista di un’epoca che sembra lontana anni luce dai tempi attuali e di una Roma testaccina a cui tutto si poteva rimproverare tranne che l’impegno e la dedizione.
Arriva a Roma in un freddo Novembre 1989 ovvero in quello che un tempo era chiamato mercatino invernale di riparazione ed arriva a far parte di una squadra che certamente non poteva competere per il titolo.
Tale squadra, però, faceva ugualmente innamorare i propri tifosi che accorrevano puntuali allo Stadio Flaminio (l’Olimpico era in fase di ristrutturazione in vista dei Mondiali che si sarebbero disputati il Giugno successivo) per vedere i propri beniamini dell’epoca fra i quali il tedesco volante Rudi Voeller, il principe Giannini, Ruggiero Rizzitelli detto Rizzi Gol e il centrocampo dei romani composto anche da Stefano Desideri, Fabrizio di Mauro e Lionello Manfredonia.
Era la Roma di Gigi Radice, uomo sincero e tecnico di spessore, condottiero di una squadra che giocava tutte le partite a testa alta: proprio altri tempi…
Il buon Giovanni mette piede nella capitale ben sapendo che dovrà sudare le sette maglie per conquistare la fiducia dell’allenatore e scippare anche solo qualche minuto o uno scampolo di partita ma non è rassegnato anzi vuole scalare la vetta e vincere la sua sfida personale con le unghie e con i denti: dovrà pedalare tanto, non si potrà mai fermare né scoraggiarsi di fronte alle inevitabili avversità che lo aspettano.
Parte apparentemente in sordina ma pian piano riesce a conquistare il sergento di ferro dagli occhi di ghiaccio e così al suo primo anno disputerà ben 17 partite complice anche il tragico addio di Lionello Manfredonia al calcio giocato.
Termina la sua prima stagione alla Roma e Gigi Radice, l’allenatore che lo aveva fortemente voluto, saluta e se ne va: al suo posto arriva Ottavio Bianchi che, ancora sotto contratto con il Napoli, era stato costretto a farsi un anno di tribuna per l’impuntatura di Ferlaino il quale, saputo dell’accordo tra il suo allenatore e Dino Viola, non aveva voluto concedere il benestare al trasferimento in giallorosso del tecnico bresciano .
Il buon Ottavio è persona spigolosa ma sincera, non ama le telecamere, rifugge dalle luci della ribalta ed appena due anni prima ha centrato un obbiettivo strepitoso ovvero il primo scudetto della storia del Napoli.
E’ la stagione 1990- 1991 e sarà un’annata indimenticabile: la vicenda Lipopil con le squalifiche di Carnevale e Peruzzi, il Palazzo volta le spalle al Presidente Viola che, già stanco e malato, nel Gennaio del 1991 saluta per sempre il suo popolo lasciando un ricordo indelebile nella mente e nei cuori di tutti gli amanti della nostra cara vecchia Roma, la squadra subisce inevitabilmente un trauma incredibile ma non si abbatte e, come l’araba fenice, risorge dalle sue ceneri conquistando una Coppa Italia ed una finale di coppa Uefa persa immeritatamente contro l’Inter e le cui immagini, vi posso assicurare, sono ancora presenti nei miei occhi di ragazzetto sperante.
Giovanni, il biondo che non si arrende, risponde sempre presente all’appello e giocherà ben 33 partite senza mai demeritare e con una professionalità al limite del maniacale perchè lui conosce un solo modo ripagare la fiducia chi lo aveva voluto alla Roma: IL LAVORO.
L’anno successivo, sempre con Ottavio Bianchi in panchina, giocherà nuovamente 33 gare e poi 45 match nella stagione 1992- 1993 allorquando la compagine giallorossa sarà allenata da Boskov.
Alla guida della Roma arriva Franco Sensi e sulla panchina si siede Carlo Mazzone: nelle successive due stagioni disputerà ben 60 gare segnando addirittura un gol, contro la Lazio, nel derby disputato il 24 Ottobre 1993.
Lascerà la Roma nell’estate del 1995 dopo aver giocato ben 189 partite: oggi si direbbe tanta roba e in effetti Giovanni Piacentini è stato veramente qualcuno che ha dato tanta roba alla Roma ed a noi tifosi.
Ha saputo sempre conquistarsi la fiducia di tutti i tecnici che lo hanno allenato, non si è mai lamentato per una esclusione, ha sempre lavorato tanto ed in silenzio, mai una parola o un gesto fuori luogo, mai una polemica anche solo velata: lui era felice di indossare quella maglia e non chiedeva altro, non voleva altro perché finalmente gli era stato dato ciò che aveva sempre amato e desiderato.
Non avrebbe permesso a nessuno di svegliarlo dal sogno che viveva e manifestava lealtà verso chi gli aveva concesso l’opportunità della sua carriera e della sua vita.
Lo vedevi giocare e capivi cosa c’era nel suo cuore: la gioia di indossare una maglia.
Così racconta il suo gol alla Lazio in quel famoso derby: “Ci fu questo pallone alto respinto da Marchegiani di pugni, calciai al volo senza pensarci su, fu una gioia indescrivibile».
Queste le sue parole sulla Roma di quei tempi:” Nell’anno al Flaminio la gente si innamorò della squadra, non c’erano grandi attese, se non quella dell’arrivo di Ottavio Bianchi. Con Radice invece facemmo un campionato interessante, andammo in Coppa Uefa, la squadra era unita e si percepiva che il gruppo aveva passione e per la gente romanista questo è importante. Avevamo la curva Sud attaccata”
Anni romantici, ruggenti, ci bastava poco, ci bastava vedere Giovanni Piacentini per essere felici.
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