In queste settimane, tra le varie vicende che tengono banco in casa Roma, vi sono prevalentemente due tematiche: lo stadio e Fonseca. Il primo ricorre per le stantie acque in cui galleggia; il secondo per essere semplicemente l’allenatore della Roma. Sullo stadio, in particolare, non si può ignorare il nuovo messaggio che Virginia Raggi ha mandato ai tifosi (e ai Friedkin) appena una settimana fa: “Speriamo di far avere ai tifosi un regalo di Natale“. Era il giorno della presentazione in Campidoglio di Amami e Basta, la campagna lanciata da Roma Cares con la vendita di un calendario realizzato con le mogli e le compagne di alcuni calciatori per finanziare percorsi di reinserimento lavorativo delle donne vittime di violenza. In quell’occasione la chiosa finale sullo stadio, in una cornice di tutt’altro spessore, è risultata fuori luogo.
Oltre a ciò, si è rivelata anche vana: la situazione sullo stadio si muove nelle sabbie dell’immobilismo burocratico. Il pignoramento dei terreni, le alternative recentemente tornate in auge come Fiumicino e Tor Vergata, l’attuazione del piano regolatore: questi sono solo alcuni degli infiniti intoppi che la società giallorossa deve superare ormai da tempo per far sì che il nuovo impianto veda luce.
Osservatori defilati
In questa situazione di stasi eterna e atavica, c’è una singolare discrasia tra ciò che succede nei tifosi e ciò che succede, invece, nella dirigenza. La questione stadio accende la piazza, infuoca gli animi, tira fuori malcontento represso da anni di scartoffie mai smaltite. Così non è, o almeno pare non essere, nei Friedkin, i quali verso lo stadio si mostrano tiepidi, attendisti, misurati. La loro scelta di non esporsi è in stridente contrasto con quanto in passato fatto da Pallotta, che ha spesso alzato la voce spazientito dalle lungaggini burocratiche. Dan e Ryan Friedkin, invece, sono, almeno al momento, defilati osservatori.
D’altronde sono appena giunti sul suolo italiano, hanno poca confidenza con le istituzioni e le politiche nostrane. Studiare le carte e mediare con le varie figure che si interpongono non è certo una giungla semplice in cui districarsi; inoltre, inaugurare un duro faccia a faccia con le istituzioni, da nuovi arrivati, rischia di non essere una buona idea. Per di più, resta che la piazza di Roma sia estremamente sensibile alle parole, alle promesse, ai proclami: farne senza avere certezze sarebbe una clamorosa autorete. Per questo i Friedkin tracciano in sordina la loro strada fino allo stadio: silenti spettatori del rimpallo burocratico che (si) consuma (tra) i muri dei palazzi della politica.
A fari spenti
A parte lo stadio, vero nodo burocratico, e il silenzio dei Friedkin, un altro personaggio che tace è Fonseca. La sua Roma sta mostrando una continuità di risultati e una crescita nel gioco encomiabili, ma lui non si compiace. Ciò che, al contrario, è sempre appartenuto al suo vocabolario comunicativo è la costanza del duro lavoro. Così, quando gli arrivano provocazioni gratuite sullo scudetto, sul suo rapporto con la dirigenza, sui problemi degli assenti, Fonseca non raccoglie.
Da quando si è seduto sulla panchina giallorossa, l’allenatore portoghese si è dovuto misurare con una piazza esigente e incendiaria, in seno a un ambiente tutt’altro che tranquillo. L’incessante vuoto chiacchiericcio mediatico è la colonna sonora delle giornate della Roma, ma lui resta imperturbabile. Per mesi si sono rincorse voci che lo volevano lontano dalla Capitale, sostituito da nomi altisonanti che hanno visto prima Conte e poi Allegri come punte di diamante. Analogamente, per settimane si sono accavallate domande riguardanti l’assenza di un direttore sportivo e quanto si sentisse o meno sostenuto dalla dirigenza. Adesso, invece, l’inconsistente narrazione di un allenatore in bilico sta cambiando, spenta dai risultati e dal gioco. Le nuove tematiche, allora, sono i traguardi della Roma: c’è chi sussurra la parola “scudetto”, chi vorrebbe parlare di “Europa League” ma si tace, chi gli chiede di un rinnovo fino a qualche tempo fa raccontato come impensabile.
Fonseca non si scompone e non si espone: la verità è custodita nello scrigno degli uffici dell’Eur e da lì uscirà a tempo debito. Anche lui si pone come silente spettatore di una narrazione smarrita, presa in contropiede, messa a nudo nel suo essere priva di argomenti. Nella conferenza stampa di ieri, inoltre, un tema ricorrente è stato l’emergenza difensiva. Senza cinque difensori centrali, la Roma si presenta stasera con un intero reparto rimaneggiato. Le domande sono andate sempre nella direzione della preoccupazione, della mancanza, della complessità della situazione. Eppure Fonseca ha risposto seccamente che “non può essere una scusa“. Cala il sipario anche su questo non-detto: i problemi si risolvono a fari spenti, ma non si usano.
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