Chi, come il sottoscritto, era presente allo stadio Olimpico quel maledetto 30 maggio 1984 assistendo dalla Sud (stessa porta dove avvenne il fattaccio) agli errori di Ciccio Graziani (che quando giocava con il Torino ci fece vincere due Coppa Italia sbagliando i rigori da lui tirati) e di Bruno Conti Marazico facendo trionfare la squadra dei Red Devil’s nella finale di Coppa dei Campioni, ieri sera presagiva come sarebbe andata a finire la lotteria dei penalty battuti contro il Siviglia nella finale della Coppa Uefa.
Non mi sento assolutamente di incolpare nessun giocatore della Roma che ha versato fino all’ultima goccia di sudore sul verde prato della Puskas Arena di Budapest in una notte che ha dimostrato, una volta ancora, l’ineguatezza della classe arbitrale.
Posso onestamente affermare che l’arbitro inglese – ritenuto il miglior fischietto di tutta la Gran Bretagna- ha condizionato non poco l’andamento di una partita che avrebbe meritato ben altra direzione di gara.
Questo lo si è compreso subito dal modo nel quale sventolava cartellini gialli all’indirizzo dei romanisti a differenza di quanto non ha fatto nei confronti degli spagnoli.
Ma se a questo iniquo metro di misura ci siamo abituati (in fondo siamo sempre stati SOLI CONTRO TUTTI), l’evidenza di un rigore non concesso a nostro favore è stato un vero e proprio scandalo che ha investito anche il VAR affatto sereno nel suo metro di giudizio.
Ad una squadra dove, via via, sono venuti meno Pellegrini, Dybala e Abraham e con un inguardabile Wijnaldum, si sono manifestate tutte le deficienze che hanno fatto la differenza con il Siviglia, squadra decisamente abbordabile che avremmo potuto sconfiggere in altre circostanze.
I critici insieme a gufi e ai burini della Lazie, sono stati immensamente felici di poter dare addosso allo Special One per la sconfitta anche se questo non merita di essere il capro espiatorio tale tanto da poter affermare che Mourinho lede a chi non ce l’ha.
Il vate di Setubal è l’unico artefice di una stagione che ha visto la sua Roma conquistare la seconda finale europea consecutiva; che ha saputo valorizzare quei ragazzini che fino all’altro giorno giocavano alla Primavera; che ha rigenerato campioni ritenuti lessi (da Dybala a Matic tanto per fare un paio di nomi; di essere il collante tra un rigenerato e ritrovato tifo e la squadra, tanto da riempire l’Olimpico e tutti i settori dedicati ai romanisti in trasferta, decine di volte con incredibili sold out che nessuno poteva immaginare.
Proprio Mourinho è stato più vicino a tutti i suoi giocatori a fine partita, cercando di consolare le lacrime di un più che affranto Dybala così come quelle di un disperato e singhiozzante Bove.
Il nostro allenatore è stato alquanto chiaro nel puntare il dito verso la truppa arbitrale alla fine dell’incontro, apostrofandola apertamente con tutte le parole che questa meritava di ricevere dopo aver indirizzato il corso delle cose verso un unica parte.
Poco consola il fatto che tutti i telespettatori hanno assisto alla generosità, l’orgoglio, l’impegno profuso da tutti i giallorossi scesi in campo e lo scandaloso arbitraggio che ha visto il giudice di gara non assegnare un evidente rigore contro il Siviglia insieme ad alcuni cartellini gialli che avrebbero fatto prendere un’altra piega alla partita. E a questo, aggiungersi la ripetizione dell’ultimo penalty sbagliato dagli spagnoli con la scusa che Rui Patricio si era leggermente mosso prima del tiro.
L’appello inevitabile è quello che la proprietà smetta di continuare con un atteggiamento pragmatico, iniziando a far sentire la sua voce nei confronti dell’UEFA, dell’AIA e della FIGC pretendendo parità di giudizi e stesso metro di importanza con gli avversari. Che Dan Friedkin sia amico di Ceferin e di tutto il gotha del calcio che conta, non deve significare che la Roma squadra, Mourinho e i milioni di tifosi giallorossi debbano sempre accettare supinamente torti ed errori arbitrali.
La proprietà deve rendersi conto, al di là del contratto sottoscritto con l’allenatore e valido ancora un’altra stagione, che deve modificare il suo modus operandi a partire dall’avere un chiaro confronto con Mourinho e rinforzare l’organico con giocatori in grado di fare la vera differenza. Risulta necessario tagliare i tanti rami secchi che fanno parte della squadra e che ben figurerebbero in formazioni della serie cadetta, sostituendoli con affermati calciatori che possano veramente rappresentare una valida alternativa sia nella formazione titolare che in quella di riserva con l’obiettivo di mettere l’allenatore nella condizione di affrontare con un organico altamente competitivo ogni tipo di competizione alla quale la Roma parteciperà il prossimo anno.
Questo, tutti i tifosi giallorossi – interpreti di innumerevoli e inenarrabili sacrifici per seguire la squadra del cuore – lo pretendono e lo meritano.
Se così non dovesse essere, gli yankee possono anche allegramente tornarsene in Texas tra mandrie e cow boy magari cercando un John Wayne che li possa far divertire.
O, come si dice nella Capitale, se ne andassero a fanculo anche loro perché la Roma siamo noi.
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