Dopo la lunga sosta, merito del primo posto nel girone, torna la Conference League per la Roma di Mou con l’insidiosa trasferta sul campo arato di fresco del Vitesse, squadra che, come il buon Pardo ci ricorda nella sua telecronaca su DAZN, è stabilmente nella borghesia del calcio olandese.
Con la testa inevitabilmente a Udine, che la squadra raggiungerà sabato dopo aver trascorso un giorno nella terra dei tulipani, il tecnico mischia un po’ le carte e un po’ gli uomini, dando riposo inizialmente a chi ne ha oggettivamente bisogno. Schierata la squadra con il classico 3-4-1-2 la formazione vede il ritorno tra i titolari di Ibanez, Maitland-Niles, Sergio Oliveira e Viña. Gli altri in panchina. Nota a margine, la presenza di Reynolds in tribuna: puoi togliere da Roma un giocatore, ma non puoi togliere la Roma da lui.
Rui Patricio, nei primi 28 minuti, è costretto a sfoderare tutta la sua immensa classe portieristica e salvare lo 0 a 0 in ben tre occasioni su tre giocatori diversi: Openda, Domgjoni e Grbic (date una vocale extra a sto poro austriaco). Se pensate che sia finita qui vi sbagliate di grosso perché al minuto 33 le sinapsi del numero uno si spengono improvvisamente e il nostro finisce per regalare un pallone agli avversari, cross al centro e la punta belga delle apine spara incredibilmente alto a mezzo metro dalla linea di porta. Sarà l’ultimo squillo dei padroni di casa degno di nota.
Mourinho schiera la difesa più giovane possibile con capitan Mancini – Ibanez – Kumbulla a soffrire le pene dell’inferno su un campo che a tratti ricorda l’Ardeatina. Gianluca, ebbro di felicità per aver scampato il giallo nell’ultima gara con l’Atalanta, si impegna a fondo per bissare il suo personalissimo record, mantenendo uno standard di qualità interdittiva più alto possibile. Poi si ricorda di essere diffidato e al minuto 85 si prende un giallo per proteste per pulirsi la fedina penale.
Roger da centrale ha sicuramente un compito più facile rispetto a quando gioca sul centro-sinistra. Ancora un po’ ruvido e imballato, lotta su tutti i lanci lunghi degli avversari riuscendo spesso a intercettare i palloni, non è colpa sua se sulle seconde palle i compagni non ci arrivano mai. L’impegno c’è: su un campo del genere, che spesso e volentieri lo tradisce facendolo finire culo-a-terra, è il massimo che gli si poteva chiedere.
Marash, zitto zitto, s’è preso il posto che fu del compagno sovrascritto e non sembra intenzionato a mollarlo. Entrato nelle rotazioni per emergenza, ha saputo convincere tutti con prestazioni sempre più convincenti e sicure. Ottimo in marcatura, sempre aggressivo al punto giusto e raramente falloso, usa il fisico quando non riesce con la tecnica per fermare gli assalti. Concentrato, sicuro, tranquillo, è finalmente giunto alla giusta maturità per essere un titolare di questa squadra. Dopo il disastro di Bodo, è l’unico che ha dimostrato di aver imparato dai propri errori. Bravo.
Linea mediana con il redivivo Maitland-Niles a destra, Sergio Oliveira e Veretout al centro e Viña a sinistra. Se il mister, dopo 45 minuti, decide di cambiarne 3 su 4 evidentemente qualcosa non è andato a buon fine. Personalmente non me la sento di tirare la croce addosso ai ragazzi, però. Il campo era veramente oltre i limiti dell’impraticabilità e il loro errore è stato quello di cercare di giocare lo stesso palla a terra, cosa improponibile in un terreno agricolo del genere. L’unico sopravvissuto all’epurazione è stato Sergio che, gol vittoria a parte, ha ben pensato di estrarsi da solo prendendosi due gialli in otto minuti (anche se il secondo è stato veramente generoso).
Mkitharyan abbandona momentaneamente la cabina di regia e torna al vecchio ruolo di trequartista dietro le punte. È l’unico di tutta la rosa che tenta di costruire qualcosa, di raccordare difesa e attacco, ma anche lui soffre dannatamente la poltiglia verde che i padroni di casa chiamano terreno di gioco. Così si impegna a guastare il gioco avversario per quanto possibile, anche se il Vitesse oltre a lancioni per le punte non va. Tutto sommato una buona prova.
Cento candeline giallorosse per Zaniolo, schierato al fianco di Twenty Abraham, ribattezzato così non si sa da chi per la quota raggiunta di gol segnati fin’ora. Nico resta in campo poco più di sessanta minuti, girando a vuoto nella prima frazione in quanto impossibilitato a essere servito decentemente. Non si abbatte e lotta su ogni pallone più o meno raggiungibile, prendendosi la solita dose di falli e rischiando un paio di volte di lasciarci un tendine. Mou, da bravo papà, lo spedisce a farsi una doccia calda per preservarlo dal freddo. Cucciolo lui.
Incubo d’ebano, Abraham resta in campo per tutto il match correndo in pressing sulla linea difensiva olandese e cercandosi uno spazio adatto a ricevere il pallone che, però, non c’è e non per meriti della difesa di casa. Andrebbe cercato con i lanci profondi anche lui, ma la Roma non è strutturata per questo tipo di gioco e a farne le spese sono soprattutto lui e Nico. Dopo il rosso a Sergio, fa reparto da solo, più il centrocampista aggiunto e all’occorrenza anche il difensore. Se gli avessero dato un paio di guanti avrebbe dato il cambio pure a Rui. Giocatore totale, che si sacrifica per la squadra e che da sempre tutto quello che ha fino ai propri limiti e, a volte, anche oltre.
Cambi che, come detto, partono già dall’intervallo con Karsdorp, Cristante ed El Shaarawy che si prendono il “campo” per Maitland-Niles, Veretout e Viña. Ottimo l’ingresso dei tre che sostanzialmente cambiano la partita, aggiungendo fisico, centimetri e freschezza in un reparto che ne ha sofferto l’assenza nella prima frazione. Si proseguirà poi con l’ingresso di Pellegrini per Zaniolo e di Smalling per Mkitharyan, giusto per resistere all’assalto finale dei gialloneri.
Erano importanti due cose: non farsi male e vincere. La Roma chiude il match di andata con due obiettivi centrati su due e questo è tutto ciò che conta. La prestazione, i singoli, i movimenti e tutte le altre variabili del gioco del calcio, su un campo di melma del genere non possono essere prese in considerazione. A tra sette giorni per il ritorno, su un campo da calcio che, inevitabilmente favorirà i nostri, ma che potrebbe farci scoprire doti non emerse nei nostri avversari: il campo infame, dopotutto, c’era anche per loro.
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