È la notte più attesa. È la notte dove Roma mette l’abito più bello e sfoggia un diamante da 61942 carati chiamato Olimpico. È la notte dei quarti di finale, partita di ritorno, di Conference League che vede i padroni della città e i norvegesi del Bodo affrontarsi di nuovo, per l’ultima volta, per l’accesso alle semifinali. Si parte dal 2 a 1 dell’andata per gli ospiti.
Mourinho cambia uomini, ma non formazione, rispetto all’ultima di campionato e sposta Mkitharyan al fianco di Cristante, con Pellegrini libero di trovarsi la posizione e con Zaniolo, un po’ a sorpresa, al fianco di Abraham. Ancora fiducia a Zalewski sulla fascia, per il resto tutti confermati.
Partita tranquilla, forse un po’ noiosa, quella di Rui Patricio che, di fatto, è inoperoso per tutta la partita tranne che al minuto 26 quando disinnesca un tiro, non facile, di Veltessen. Stranamente impreciso coi piedi, nei lanci lunghi, ma sempre concentrato nel guidare la difesa da dietro. Nota positiva per lui, clean sheet a parte, è che si sarà goduto la magia degli spalti da posizione privilegiata.
Muro difensivo con Mancini – Smalling – Ibanez. Molto alti e aggressivi i due “braccetti” di difesa, Roger e Gianluca, che a turno rompono la linea arretrata e aggrediscono alti i centrocampisti del Bodo in fase di costruzione. Partita speculare dei due, che mettono in mostra tutte le loro qualità sia di marcatura asfissiante che di recupero e intervento. Sublimi alcune chiusure del brasiliano che strappano gli applausi a tutto l’impianto. Continua la love story tra Gianluca e i cartellini gialli.
Solito colosso impenetrabile, Chris tiene ben salde le mani sul timone della difesa e argina senza paura o errori ogni tentativo degli avanti degli ospiti di risultare pericolosi. Spesso anche lui si stacca dal reparto e da solo parte all’arrembaggio della sfera riuscendo sovente a strapparla al possesso dei nordici. Sempre elegante, pulito, mai falloso, domina la scena annichilendo gli avversari.
Mediana composta da Karsdorp – Cristante – Mkitharyan – Zalewski. Rick si gasa a bestia vedendo l’Olimpico stracolmo e, soprattutto nel primo tempo, corre per otto con la lucidità e la freddezza nel ragionamento di un super-computer della NASA. Sa sempre cosa fare col pallone tra i piedi, sa sempre dove mettersi in difesa, sa sempre come interdire e sradicare la palla dai piedi avversari. Tutto fatto a velocità inumane per tutti i primi 45 minuti. Nel secondo tempo amministra, copre, riparte e sprinta solo quando necessario, restando però tra gli incubi della difesa del Bodo.
Tutti si aspettavano la conferma di Henrikh dietro le punte, invece Mou lo abbassa di nuovo al fianco di Cristante, relegandolo a compiti di interdizione e smistamento. Prima mossa. A questo punto sarebbe stato logico aspettarsi i soliti compiti di raccordo tra difesa e attacco, invece l’armeno non è quasi mai chiamato in causa dal pallone in uscita e tutte le marcature preventive impostate su di lui permettono al compagno di reparto maggiore libertà e più tempi di gioco. Seconda mossa e scacco matto. Alfiere.
Ormai giunti in primavera, si può dire che Zalewski è definitivamente sbocciato e possiamo considerarlo a tutti gli effetti come IL titolare di quella fascia, almeno per quest’anno. Il giovane polacco è incontrovertibilmente incontenibile in fase esplosiva e assolutamente perfetto in fase contenitiva. Fino allo sfinimento, sempre in costante movimento su e giù lungo la linea laterale del campo, apre il gas a manetta e fa urlare il motore nella sgroppata che culmina col cross per il 3 a 0 giallorosso. Primula romanista.
Sfruttando l’ottima mossa tattica e l’abnegazione nell’esecuzione del numero 77, Bryan sale in cabina di regia e, vestito di tutto punto, dirige con maestria gli attacchi e le ripartenze della Roma. Con cura certosina, smista lanci di 30 e 40 metri sui piedi dei compagni con una eleganza sublime e una precisione impressionante. Buonissimo nei palleggi stretti con i compagni, quando si tratta di dialogare rapido e preciso in un fazzoletto di campo, cecchino infallibile nei cambi di gioco e nelle aperture, anche di prima intenzione come quella che spianerà la strada al 4 a 0 finale. Piedi lavici a temperature magmatiche e un cervello vulcanico che erutta idee di gioco continue, incessanti e a ondate.
Giroscopica è stata la partita di capitan Pellegrini. “Giro” perché è stato sempre in movimento e mai nella stessa posizione del campo per più di due minuti e “scopica” perché si è fatto….beffa della difesa avversaria. Libero da dettami tattici e posizioni precise, Lorenzo vaga per il terreno di gioco, abbassandosi molto in fase di ripartenza oppure allargandosi sulla fascia per suggerire il passaggio o ancora posizionandosi al centro del campo tra le linee rigide di difesa a centrocampo del Bodo. Fatto sta che nessuno riesce a prenderlo mai né a intuirne in anticipo le mosse, consentendogli di fare il bello e il bellissimo tempo per tutti e i 75 minuti giocati. Solo un fastidio fisico lo vinse.
Pronti via e Tammy porta i conti in parità raccogliendo una corta respinta del portiere norvegese e insaccando senza pietà la rete dei pescatori nordici. All’uscita dal campo fu colpito da un tifoso con una palla di neve, in Norvegia, e promise vendetta (sportiva, ovviamente) al malcapitato: parola mantenuta e “There is no snowball in Rome” a suggellare il successo. Sfiora il gol almeno in un altro paio di occasioni e nel complesso mette in campo tutte le indubbie qualità che ha nel DNA.
Chi non doveva nemmeno giocare e, invece, domina la scena è Zaniolo. Di nuovo al fianco di Abraham ruba tutte le luci e insacca tre gol alle spalle del portiere ospite. Il primo, un misto di classe ed eleganza a coronamento di un’azione da Oscar fatta di tanti tocchi di prima che lo lanciano davanti all’estremo difensore. Il secondo, un morbido pallonetto di tottiana memoria fatto col suo mancino a scavalcare il portiere in uscita che premia lo strappo di Zalewski e il pregevole assist. Il terzo, di potenza e tecnica pura dopo aver addomesticato con la testa l’ennesima perla di Cristante prima di depositare la sfera in rete con un tiro di contro balzo micidiale sotto al sette. Esce per crampi dopo un’ora, ma ormai era tutto fatto.
Cambi che iniziano, appunto, con Felix per Zaniolo al 59esimo, poi con Sergio Oliveira per Pellegrini e infine col triplo cambio Veretout, Maitland-Niles e Carles Perez per Mkitharyan, Zalewski e Abraham. Tolti gli scarsi minuti per gli ultimi quattro, sufficiente è la prova di Afena che ci mette grinta e voglia finché gli arrivano palloni giocabili.
Il mister lo aveva detto: la prima partita nel girone è stata inutile, la seconda a Roma è stata inutile, l’andata dei quarti in Norvegia è stata inutile, l’unica partita che veramente contava qualcosa era stasera e a vincere è stata la Roma. Tutta Roma, quella in campo, ma soprattutto quella bellissima sulle tribune e nelle curve che hanno sostenuto, incitato e osannato senza soluzione di continuità una squadra guerriera, forte e volenterosa di passare il turno.
Terza semifinali in cinque anni: da quella di Champions persa contro il Liverpool a quella di Europa League persa contro il Manchester United a questa da giocare contro il Leicester City. C’è da rompere la maledizione inglese nelle semifinali europee.
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