Si torna a casa, davanti alla nostra gente, in uno stadio pieno alla metà perché a causa dei tempi stretti non si poteva fare di più. La Roma di Mourinho si appresta a questa sfida senza nove giocatori: Mancini, Ibanez, Spinazzola, Mkhitaryan, El Shaarawy, Shomurodov, Carles Perez e altri a cui all’ultimo minuto si aggiunge anche Zaniolo. Più che una lista di indisponibili sembra un bollettino di guerra.
Si riparte quindi da Rui Patricio in porta che, pronti via e già si trova a raccogliere un pallone in fondo al sacco dopo la botta ravvicinata di Barak. Malissimo la difesa che non copre, ma questo non è ancora niente. Passano quindici minuti e il Verona raddoppia col secondo (e ultimo) tiro del match: Tameze spara da dentro l’area un terra-aria che il nostro può solo veder morire sul fondo del sacco. Incredibile, ma vero, la partita di Rui finisce qui, perché per il resto dell’incontro sarà solo un continuo rinviare e rilanciare azioni.
Difesa inventata in pieno con Karsdorp che scala a fare il difensore centrale affianco a Kumbulla e Smalling. Rick sta giocando sulle gambe, fisicamente, e dando fondo a tutte le ultime energie mentali che gli sono rimaste. L’anno scorso giocò, e anche bene, come centrale sempre in una difesa a tre, ma quest’anno semplicemente non gli riesce. Decisamente meglio, ma peggio era onestamente impossibile, nel secondo tempo a formazione stravolta dai cambi.
Smalling, dal canto suo, è un inamovibile totem che si piazza al centro della difesa respingendo di testa ogni pallone alto scagliato dagli scaligeri. Le prende letteralmente tutte lui, peccato che non ci sia quasi mai nessuno a recuperare il pallone e che così il Verona possa facilmente tornare spesso in possesso della sfera. Per il resto solita diligenza e prontezza negli interventi, ma lui è uno e non trino e non basta a tenere in piedi la baracca.
Marash ci mette tutto l’impegno e la caparbietà acquisita ultimamente, giocando una partita dignitosa in copertura, ma assolutamente insufficiente nel complesso: in fase di costruzione è troppo scolastico e facilmente prevedibile, in ritardo sulle palle aeree e in affanno costante nell’uno contro uno. Dove non arriva, però, fa fallo: almeno blocca le azioni.
Ancora linea a cinque di metà campo con Maitland-Niles sulla destra, Viña a sinistra e il duo Pellegrini – Sergio Oliveira al centro intramezzati da Cristante. Che Bryan fosse in campo me ne sono reso conto ora scrivendo, tanto è stato il suo contributo in campo. Va detto che nel marasma della pochezza generale, lui qualcosina prova a farla, ma spesso si perde in lucubrazioni mentali tutte sue che lo estraniano dal gioco e lo rendono lento e prevedibilissimo.
Un altro che non se la passa bene è Sergio. Troppo presto etichettato come salvatore della patria, è lentamente scomparso sotto il peso di un campionato che non conosce e di cui fa fatica a prende le misure e contromisure. Cosa che, invece, gli avversari hanno già fatto con lui. Lento e compassato, viene sostituito nell’intervallo. Stessa sorte anche per l’esterno sinistro, ma più che un cambio “fisico”, il suo sembra uno tattico per cercare di essere più offensivi sul quel versante di gioco. Impalpabile nella prima frazione, pensa solo a difendere e non lo fa nemmeno tanto bene.
L’inglese sul lato opposto non brilla certo di luce propria, spesso si fa tradire dai rimbalzi del pallone e non azzecca una giocata che sia una, ricorrendo spesso e volentieri all’appoggio più scolastico e facile possibile. Avevamo sperato di aver preso un leone tutta tigna e corsa, tipico del calcio inglese, ci siamo ritrovati con un mestierante che faticherebbe a fare la differenza in serie B. Timido, pauroso e impacciato.
Giudizio sospeso, ancora per poco, sul capitano. Scende in campo per farci arrivare a 11, mette il cuore ovunque e non si risparmia. Si spreme talmente tanto che verso la fine sembra raggiungere una condizione fisica quasi accettabile, cercando e trovando finalmente quella qualità nella gestione del pallone che gli è mancata per il resto del match.
Ancora male, ma trovare qualcuno dei titolari che raschi la sufficienza è fantascienza pura, Felix al fianco di Abraham. Il giovane Afena non ne indovina mezza, viene facilmente annullato dal suo marcatore e tenta sempre la stessa giocata senza riuscire mai a indovinare un movimento o un tempo di gioco utile per fare qualcosa di degno. L’entusiasmo della doppietta al Genoa è già finito, la nebbia s’è diradata e finalmente possiamo vedere che questo diamante grezzo, grezzissimo, è un Gervinho coi piedi di Ibarbo. Ad oggi vale un Iturbe, forse meno. La scelta di dare fiducia a lui e rinunciare a Borja Mayoral comincia ad avere il sentore di cavolata sesquipedale. Non è pronto.
Tammy incappa nella seconda pessima giornata, vuoi per colpa sua e vuoi per colpa dei compagni che non riescono a innescarlo. Incespica goffamente sul pallone, non riesce a tenerne uno, perde ridicolmente tutti i contrasti aerei contro dirimpettai con meno blasone di lui, a testimonianza che il nome sulla maglia non fa la tanto la differenza come, invece, la voglia e l’energia di fare le cose. Può capitare una flessione: questa è la sua.
Mou non perde tempo e già nell’intervallo inserisce Zalewski e Veretout per cercare di dare linfa a una squadra smorta e spenta. Entrambi portano una ventata di energia positiva che trova il suo apice al minuto 61 quando Volpato rileva un abulico Felix. Nemmeno tre minuti e Christian trova il gol sugli sviluppi di un corner battuto proprio dal francese. Galvanizzato dalla positività, il tecnico portoghese bissa l’azzardo inserendo anche Bove per Maitland-Niles al 77esimo e ha ragione: cinque minuti dopo, sempre sugli sviluppi da corner, anche lui trova la prima rete in Serie A regalando un insperato pareggio alla Roma.
Una compagine giallorossa che più incerottata non si può, strappa un immeritato pareggio contro un bel Verona, almeno nella prima frazione, e porta a casa un punto che sa di sconfitta, ma anche di fosso scampato. Era importante non perdere, anche se vincere lo sarebbe stato di più, ma con tre primavera come sostituzioni e uno titolare, vale a dire 4 quindicesimi di quelli scesi in campo, onestamente non si poteva chiedere di più.
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