Il Contesto
Ne sono trascorsi di anni da allora. Nel 1984 esisteva ancora l’URSS, i Paesi del Comecon, la lira italiana, alla radio passava tanto “Ci sarà” di Albano e Romina quanto “Radio Ga Ga” dei Queen, in TV seguivamo la domenica pomeriggio Paolo Valenti a la sua “90°Minuto” e Beppe Grillo ci faceva ridere con il suo “Te lo do io il Brasile” e al cinema si andava per vedere “Terminator”e “Non ci resta che piangere”.
Praticamente anni luci fa.
Il tifoso romanista, felice di aver visto finalmente dopo quarant’anni il tricolore cucito sulla maglia giallorossa sponsorizzata dalla Barilla, aveva potuto sognare una cavalcata europea in quella competizione che era la Coppa dei Campioni, ossia il torneo dedicato esclusivamente alle sole squadre che avevano conquistato il primo posto nel loro campionato l’anno precedente.
Era la Roma del Barone Niels Liedholm, quell’atipico svedese che credeva nei segni del destino e che era più scaramantico di un napoletano nato e vissuto nei bassi di Forcella. Ma era soprattutto la Roma dell’Ingegnere, quel Dino Viola di Aulla sempre tifoso di quei due colori così magici che lo avevano conquistato sin da ragazzo.
C’è da dire che il campionato si giocava solo di domenica, le coppe il mercoledì e che il tifo era verace e spontaneo.
Tornando a quella squadra che Viola tramutò da rometta a Magica, questa aveva giocatori come Tancredi, Falcao, Pruzzo, Conti, capitan Ago, Nela ma anche gente come Strukelj, Dodo Chierico, Aldo Maldera…insomma, quelli che il convento (e l’attento amministratore Dino) passava. Fatto sta che il Barone aveva saputo amalgamare una squadra che già avrebbe meritato di aver vinto uno scudetto scippato al Comunale di Torino quando, per una questione di inesistenti centimetri, fu annullato il gol della vittoria siglato da un magistrale colpo di testa di Ramon Turone, alla vecchia signora per la felicità dell’Avvocato e del suo scudiero Boniperti.
La Competizione
Tornando alla Coppa dei Campioni che vide la Roma competere per essere la regina d’Europa
l’avventura iniziò il 16 di settembre all’Olimpico quando la truppa giallorossa se la vide con il Goteborg inaugurando il tabellino con un tondo 3-0 siglato da Vincenzi, Conti e Cerezo che fecero ben sperare per il ritorno che si giocò in Svezia il 28 dello stesso mese, concludendosi con la vittoria dei padroni di casa per 2-1. Passati immediatamente in vantaggio al 1° minuto e raggiunti da una rete di bomber Pruzzo al quarto d’ora del secondo tempo, uno sfortunato autogol di Righetti fissò il risultato negativo ma con la Roma decisamente passata agli ottavi.
Il 19 ottobre incontrammo il temibile CSKA di Sofia proprio nella loro tana ma una prodezza di Falcao dopo un ora di gioco, permise ai nostri di affrontare il ritorno del 2 novembre all’Olimpico dove terminò con lo stesso risultato ad opera di Ciccio Graziani.
Il tifo romanista era stato sin da subito in fibrillazione in quanto sapeva che la sede della finale quell’anno si sarebbe giocata il 30 maggio allo stadio Olimpico di Roma. Come non poter sognare?
Dopo essere andata per qualche mese in letargo, la Coppa dei Campioni riprese con i quarti e alla Roma toccò la Dynamo di Berlino: altra squadra rognosetta. Ma il 7 marzo del 1984, terminò con un tondo 3-0 anche se si dovette attendere un autogol dei tedeschi quasi alla metà della ripresa al quale seguirono le reti di bomber Pruzzo e di Tonino Cerezo.
Il ritorno appariva una formalità ma la Dynamo vendette cara la pelle tentando il tutto per tutto. Un gregario umile ed operaio come Emidio Oddi, ci portò in vantaggio mettendo al sicuro la qualificazione anche se subito dopo i tedeschi pareggiarono e siglarono il loro vantaggio che determinò il 2-1 che sigillò quell’incontro.
Il sogno si stava avverando ma per arrivarci, occorreva superare il temibile ostacolo della semifinale che il sorteggio ci aveva assegnato il Dundee United.
Quell’11 aprile in un campo di patate, la Roma si presenta spavalda per vincere consapevole dei propri mezzi e prima Chierico e dopo Graziani (traversa) hanno l’opportunità di segnare. Ma sono i padroni di casa che terminano l’incontro con un immeritato 2-0 che li fa sorridere pensando già alla finale della CdC ed ignorando che il ritorno del 25 aprile, a Roma non passa lo straniero. Una doppietta di Pruzzo che origina anche un rigore siglato da capitan Di Bartolomei per il definitivo 3-0, è quanto manda la Capitale in visibilio.
Solo un mese più tardi si giocherà quella fantastica ed inattesa finale e proprio tra le mura di casa anche se l’avversario, il Liverpool, è la squadra più forte di tutto il Vecchio Continente.
Poco importa se gli inglesi trascorreranno il ritiro sulle assolate spiagge di Tel Aviv in compagnia di mogli e compagne in un clima di vacanza da Cral mentre a Trigoria si respira tutt’altra aria di cupa responsabilità. La città è in festa: dai balconi e dalle finestre vengono issati tricolori e bandieroni giallorossi che sono gli stessi usati l’anno precedente alla conquista del tricolore. I tifosi indossano t-shirt con la scritta Campioni d’Europa in barba a qualsiasi scaramanzia masticata dall’algido mister svedese. Roma è nostra. Roma ha conquistato l’Europa e Venditti prepara il testo di una canzone che, come ha anticipato, canterà nel concerto gratuito che terrà al Circo Massimo dove intratterrà tutti coloro che non hanno avuto modo di andare allo stadio a seguire dal vivo l’atto finale di una cavalcata europea alla quale nessuno in Italia aveva creduto possibile.
I biglietti
Non avendo perduto nessun incontro disputato all’Olimpico, il sottoscritto si preoccupò subito del problema biglietti che non fu di facile soluzione.
Quando la società mise in vendita i tagliandi presso i botteghini dello stadio, la folla dei tifosi (e dei bagarini) si accalcò sin dalla notte precedente e non ci fu pazienza da nessun lato. Scontri e lacrimogeni con Polizia intervenuta a sedare le tante risse tra tifosi, non permisero la tranquilla vendita di pochi tagliandi liberi a tutti.
Grazie agli allora miei contatti internazionali, rimediai biglietti della Monte Mario che un agente di viaggi greco che viveva ad Atene, chiese ad un suo conoscente armatore che viveva a Londra e che, a sua volta, incaricò un suo dipendente ad andare a Liverpool a comprare i tagliandi che mi arrivarono con un equipaggio della Olympic Airways che fece tappa a Roma Fiumicino. Ma tant’è avevo sparso la voce che recuperai anche i tagliandi della mia Sud e ciò mi permise di liberarmi degli altri vendendoli alla migliore quotazione possibile!
Il 30 maggio
I giorni passarono lenti ma arrivò il fatidico 30 maggio. Alle 6 di mattina, dopo aver parcheggiato l’auto in prossimità dell’Olimpico, mi trovo in fila davanti ad uno dei cancelli della Curva Sud. Davanti a me, una fila di una decina di metri di persone accalcate e dietro, tifosi che ingrossano in maniera esponenziale e rapida un serpente composto da tifosi giovani e anziani che ho modo di guardare bene, avendo ore di attesa davanti a me: chi con la sciarpetta di lana, chi con il bandierone cucito dalla nonna, di con la busta del supermercato contenente panini imbottiti, chi con il cappelletto inculcato bene in testa. Ma tutti, animati da quel sogno di vincere la coppa con le orecchie, quella più bella, quella più prestigiosa, quella che ci meritavano perchè facevamo parte della torcida più passionale al mondo.
Dall’iniziale freschetto che aveva caratterizzato la prima mattina, il sole si inizia ad alzare aumentando l’intensità di un calore che, ancor più sviluppato dal contatto di migliaia di persone addossate le une alle altre, diveniva insopportabile. E di poca consolazione apparivano i cori innalzati da qualche gruppo della Sud: dai Fedayn ai Boys (è uno dei misteri irrisolti quello che vedeva compagni della sinistra extraparlamentare unirsi ai camerati di Marione in nome della Roma).
Sinceramente ricordo una situazione al limite dello svenimento: migliaia di tifosi che si spingono sotto ad un impietoso sole, in attesa dell’apertura dei cancelli prevista solo per il pomeriggio. Probabilmente qualche responsabile di allora seguì il suggerimento di aprire anzitempo i cancelli per rendere più gestibile la situazione dell’ordine pubblico e più umana l’attesa a noi tifosi.
Alle undici, i primi di noi tagliando alla mano, varcano l’entrata della Sud, correndo verso i gradoni preferiti per prendere posto.
Inutile dire che la Sud si riempì in un attimo mentre le tribune restavano in attesa di vedere i primi spettatori prendere pigramente posto.
Dirimpetto, la Curva Nord era stata dedicata in parte ai tifosi inglesi che giunsero scortati di tutto punto. Innalzarono i loro cori tra uno sventolio di bandiere bianche e rosse. Di contro, i tifosi della Sud dopo aver atteso oltre dodici ore, ribadivano la presenza con i cori di allora, svociandosi inevitabilmente.
La snervante attesa coniugata da un martoriante ed impietoso sole non riuscirono a scalfire l’entusiamo di una curva che, come al solito, governava il tifo e i cori cantati e scanditi dal resto dello stadio ma, presentarono inevitabilmente il conto, svilendo di fatto l’energia che accompagnò ogni tifoso per l’intera durata dell’incontro.
All’entrata delle squadre in campo il battistrada giallorosso (e non poteva essere altrimenti) era il Paulo Roberto Falcao, soprannominato “il Divino”, che fieramente guardava il catino pieno di amore e di tifo che restava sorpreso di vedere indossare la divisa bianca e non la tradizionale maglia giallorossa.
Un grande lenzuolo si srotolò dalla parte più alta della Sud verso il basso. Al centro c’era disegnata lei, la grande coppa con le orecchie e ai lati le scritte ULTRA e ROMA. Era presente lo storico striscione Commando Ultrà Curva Sud come sempre e al lato un altro stendardo bianco con la scritta rossa “Non passa lo straniero”che dominavano altri striscioni e bandiere stese. L’entrata venne salutata da un collettivo lancio di rotoli di carta igienica che riempirono il cielo e la parte sottostante della curva di grandi stelle filanti bianche mentre i tifosi intonavano i soliti cori.
Devo confessare che dopo quanto avevo visto e a quanto avevo partecipato, sia la scenografia che il contesto mi apparvero sotto tono e non certo da finale di Coppa dei Campioni, ma tant’è che non ci feci molto caso, svociato e appassito com’ero dopo essermi alzato prima delle cinque.
Insieme ai miei amici (eravamo un nucleo inossidabile che aveva preso possesso di un determinato luogo della Sud a metà altezza e verso la Tevere) il progetto era quello di festeggiare la vittoria andando al Circo Massimo da Antonello e per l’occasione, dentro la macchina, erano state riposte alcune bottiglie di spumante Raggio di Luna, prodotto nelle vigne di Niels Liedholm che avevo acquistato l’anno precedente dopo la vittoria dello scudetto.
L’incontro
Il celebrato Liverpool, non appariva quello squadrone schiacciasassi che aveva fino a quel momento dominato in Europa e inizia giochicchiano così come la Roma che, solo dopo una decina di minuti sigla un’azione degna di nota che vede la classica discesa di Conti che passa a Cerezo che crossa per la testa di un Graziani anticipato di un attimo dal portierone inglese. Azione che si ripete subito dopo con altri interpreti (Nela e Graziani) e che vede Grobbelaar anticipare bomber Pruzzo.
Ma è il Liverpool a passare in vantaggio in un’azione che avrebbe meritato la VAR al giorno d’oggi: da un cross di Johnston il nostro Tancredi blocca ma Rush lo carica irregolarmente facendogli perdere la sfera che Bonetti rinvia malamente e che arriva a Neal in una sorta di rigore in movimento.
Sotto di un gol, la Roma tenta di aumentare il ritmo anche se gli inglesi fanno di tutto per congelare l’incontro grazie ad un centrocampo sempre in superiorità numeritca dove latita proprio il Divino praticamente inesistente. Il primo vero tiro giallorosso è di capitan Ago grazie ad un corner guadagnato da Ciccio Graziani che, poco più tardi impegna Grobbelaar.
Ad una Roma poco magica che va benissimo al Liverpool, occorre un super Tancredi che ripara alla papera di Bonetti che libera Rush al tiro deviato in angolo dal nostro portiere.
Ma alla fine del primo tempo riusciamo a raggiungere un ben meritato pareggio che arriva con un colpo di testa a palombella di Pruzzo che raccoglie un bel cross di Conti.
Il tifo si riprende e anche il Presidente Pertini, appare sorridente.
Il secondo tempo vede un’altra Roma che sfiora il gol prima con Nela e poi con Graziani. Ma è con un errore del portiere inglese che Pruzzo potrebbe cambiare l’incontro ma il suo tiro è fiacco. Chierico prenderà il suo posto. La partita è confusa con errori da ambo le parti anche se l’arbitro sorvola su un atterramento di Conti in area inglese e Tancredi salva il risultato verso la fine del secondo tempo.
Sull’1-1 si va ai supplementari che non cambieranno il risultato. Dopo l’uscita di Pruzzo, esce anche Tonino Cerezo per una stiratura e al suo posto entra Strukelij.
Un’altra mezzora di passione si è esaurita e vengono celebrati i rigori. Il silenzio cala sull’Olimpico. Il primo penalty è per il Liverpool e Nicol lo manda alto. Toccherebbe a Graziani ma Ago si avvicina per battere lui il rigore e sfruttare il possibile vantaggio e così è. Pareggia Neal ma abbiamo un tiro in più rispetto a loro ma Conti, emozionatissimo, lo vanifica mandando fuori il tiro e pareggiando nuovamente il conto. Il Liverpool mette in campo la sua esperienza internazionale e segna un rigore dietro l’altro. Righetti continua a mantenere in vita la Roma ma l’errore di Graziani permette agli inglesi di vincere grazie al rigore battuto da Kennedy e di rendere vano l’eventuale tiro di Dodo Chierico.
Dalla Nord s’innalza “You’ll Never Walk Alone” l’inno del biancorossi del Liverpool mentre la Sud è svuotata nell’animo e nelle forze mentre un quesito inizia a prendere forma tra noi: perchè il Divino Paulo Roberto Falcao non ha tirato il rigore? Di Ciccio si sapeva da tempo che non era un rigorista, tanto che quando giocava con il Torino e la Roma incontrò questa squadra in finale, fu da un suo errore se vincemmo la Coppia Italia…e allora?
Delusione, spumante e Antonello
Dopo essere rimasti non so per quanto tempo, seduti con lo sguardo fisso nel vuoto, le ombre della notte si erano già impadronite di uno stadio desolatamente riempito di Kleenex inzuppati da lacrime giallorosse.
Fu così che mestamente scendemmo i gradoni per varcare con lo spirito sotto le suole delle scarpe, quei cancelli che ci avevano visti ore prima credere ad un sogno.
Le bancarelle con sciarpe e bandiere con i nostri colori, stavano predisponendosi per chiudere una sera che pensavano fosse per loro magica e si avvertiva la poca voglia di parlare.
Ombre nere che si allungavano in una lunga notte, cercavano risposte e l’insano desiderio di premere il tasto Rewind sul loro videoregistratore per rivedere la corsa di Pruzzo piena di elettrica felicità dopo la rete del pareggio.
A botte ferme, dopo essere giunti al Circo Massimo ed aver visto Antonello già dileguato nel nulla, si incominciava a ragionare. Certo che con Maldera (assente per qualifica) rigorista per professione, forse non avrebbe tirato Bruno Conti…e se non si fosse stirato Tonino Cerezo, quello sarebbe stato un gol più che sicuro. E che dire di Pruzzo? Se non avesse avuto bisogno del cambio…insomma, tutta una serie di supposizioni che costituivano un puzzle di SE e di MA che aveva sempre una certezza: perchè Falcao non aveva tirato fuori le palle e battere un rigore?
Ok, la Coppa dei Campioni a Roma se n’era andata ma le bisognava dare delle precise risposte.
A posteriori
Anni dopo, divenni amico di Dodo Chierico, al quale organizzai diversi soggiorni e vacanze. Mi fu quindi possibile sapere la vera verità dello spogliatoio anche di quel 30 maggio.
Roberto Pruzzo, uscito per un supposto stiramento ebbe veramente la necessità di lasciare il campo di calcio e ritirarsi negli spogliatoi. Anzi, per essere più precisi, al bagno degli spogliatoi. Infatti, anche se le cronache offrivano una giustificazione edulcolorata, il bomber per tenersi in forma si era mangiato uno zabaione di una decina di uova che avevano sì dato una certa dose di forza supplementare ma che a cavallo tra il primo ed il secondo tempo, si era trasformata in una sorta di inno alla cagarella che fu il pegno pagato dal nostro bomber.
E Falcao? Gli chiesi. Dodo mi fissò rispondendo sicuro. Falcao è uno stronzo. Se Graziani non avesse sbagliato, io ero l’ultimo rigorista dei cinque e toccava a me prendermi quella responsabilità. Te lo immagini se per colpa di un mio errore, la Roma avesse perso la coppa che mi avrebbero fatto i tifosi? Se accadeva a Falcao, ovviamente lo avrebbero perdonato ma ha avuto paura di prendersi quella responsabilità. I primi ad essere delusi siamo stati noi in campo…
Questa è la somma dei ricordi del sottoscritto a proposito del 30 maggio 1984 e di quello che poteva essere e che non fu. Impossibile serbarne un ricordo che, anche a distanza di decenni, è sempre una vivida ferita che ancora sanguina.
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