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L’appello di Henrikh Mkhitaryan

Noi e la Roma si occupa prevalentemente di questioni calcistiche e non si addentra, se non in casi eccezionali come questo, in vicende di carattere geopolitico. Purtuttavia abbiamo ritenuto opportuno, se non addirittura doveroso dal punto di vista umano, accogliere il grido di dolore lanciato dal nostro Mkhitaryan ai capi di Stato delle più grandi potenze mondiali ovvero Francia. Russia e Stati Uniti. La lettera scritta dal campione armeno a Donald Trump, Emmanuele Macron e Vladimir Putin rappresenta un appello accorato affinché si possa mettere fine al cruento conflitto riaccesosi qualche settimana fa dopo una tregua durata quasi trenta anni fra l’Armenia e l’Azerbaigian e soprattutto si possa scrivere la parola fine al massacro del popolo armeno sempre più inerte.

Donald Trump, Emmanuel Macron e Vladimir Putin.

I lettori si chiederanno il motivo per cui il buon Mkhitaryan si sia rivolto proprio ai capi di Stato di Francia, Usa e Russia e la risposta è presto data in quanto essi presiedono il cosiddetto gruppo di Minsk, un gruppo di Paesi OSCE, creato nel 1994 per sostenere una soluzione pacifica e negoziata fra i due paesi belligeranti. Cerchiamo di far capire ai nostri pazienti e cari lettori la portata del conflitto e la estrema gravità della situazione: il Comitato internazionale della Croce Rossa che è un’istituzione Svizzera, fondata oltre centocinquant’anni fa ed è all’origine delle convenzioni di Ginevra che hanno codificato il diritto di guerra, ha dichiarato che si contano già decine di morti e feriti tra i civili, con centinaia di scuole, ospedali e abitazioni distrutte

I combattimenti sono in corso ormai da più di una settimana, ma nelle ultime 48 ore i bombardamenti hanno colpito quartieri residenziali in entrambi i paesi, anche al di fuori delle zone contese: colpi di artiglieria pesante e razzi hanno raggiunto la capitale del Nagorno Karabakh, Stepanakert, e le città azere di Ganja e Mingachevir. Ricordiamo brevemente che il conflitto nasce all’epoca del collasso dell’Unione Sovietica, allorquando le autorità del Nagorno-Karabakh, che era già un “oblast” (cioè una regione autonoma della Repubblica Sovietica dell’Azerbaijan), votarono dapprima per l’annessione all’Armenia, poi proclamarono una repubblica indipendente nel gennaio del 1992.

I combattimenti su larga scala scoppiarono solo nel tardo inverno di quell’anno e portarono, nella primavera del 1993, all’occupazione da parte delle truppe armene dell’intera regione autonoma, ma anche di sette distretti circostanti in territorio azero al di fuori dell’oblast originario. Nel maggio del 1994, con la mediazione della Russia, fu firmato un cessate il fuoco con un governo de facto in Nagorno-Karabakh (rinominato “Repubblica di Artsakh” nel 2017) indipendente da Baku e largamente controllato dall’Armenia, che provvede a finanziare, equipaggiare e addestrare l’esercito del Nagorno-Karabakh, controllandone anche la pianificazione militare.

Il territorio montuoso del Nagorno-Karabach è entrato a far parte dell’Azerbaigian nel 1921.

Perché dopo tanti anni di tregua si è registrato un aumento della violenza? Possiamo eventualmente avanzare una ipotesi per cui in questo tipo di conflitti i belligeranti sanno bene che le pressioni internazionali finiranno prima o poi per fermare i combattimenti ed allora,  ed è sicuramente questo il caso dell’Azerbaigian, si cerca di cambiare la situazione sul campo prima di un eventuale ritorno al tavolo dei negoziati. Come detto, la situazione nella zona contesa era rimasta stabile per quasi 30 anni a seguito di una vittoria militare che aveva permesso all’Armenia di assumere il controllo del Nagorno Karabakh, una regione dell’Azerbaigian popolata soprattutto da armeni, ma anche di una zona cuscinetto azera, che è stata svuotata della sua popolazione.

In realtà gli esperti di politica internazionale ci dicono che siamo davanti a un vecchio conflitto in un nuovo contesto geopolitico tra la Russia e la Turchia in cui lo stesso Azerbaigian, spalleggiato da Erdogan, dopo anni di immobilità, sta cercando di riconquistare le sue posizioni sul campo ed è molto probabile che il crescente coinvolgimento turco, anche se finora indiretto, abbia indotto la leadership azera a un cambio di strategia ovvero provare a collocare il conflitto sul proprio territorio nel più ampio quadro della rivalità russo-turca, ottenendo rapide conquiste territoriali per poi trattare in una posizione di forza in una nuova cornice diplomatica, che includa la Turchia.

 

Chi potrà mai fermare questa macchina infernale? Il quesito innesca altri interrogativi: se l’esercito azero, più potente rispetto a quello armeno, riuscirà a riprendere la zona cuscinetto, accetterà davvero di fermarsi o cercherà di sfruttare il suo vantaggio per riconquistare il Nagorno Karabakh che è una regione prossima al confine tra Armenia e Azerbaijan, che fa parte dell’Azerbaijan ma ha una popolazione a maggioranza fortemente (oggi quasi esclusivamente) armena.? E se fosse così, chi potrebbe impedire un disastro umanitario tra gli armeni della regione?

 

E cosa accadrebbe se l’Azerbaigian attaccasse il territorio della Repubblica armena propriamente detta? Queste sono le grandi incognite di una questione estremamente complessa che potrebbe avere tanti potenziali terreni di scontro, ognuno con il suo status, la sua storia e la sua popolazione. La Russia ha già un accordo di difesa con l’Armenia, e non lascerà che il paese sia travolto ma l’intesa non riguarda la zona cuscinetto e non è chiaro se comprenda il Nagorno Karabakh che a quel punto finirebbe sotto il controllo dell’Azerbaigian a cui la Turchia fornisce uomini e materiali.

Sullo sfondo di questo domino che vede coinvolti interessi di carattere politico ed economico vi è una situazione estremamente grave dal punto di vista umanitario: donne e bambini trucidati senza alcuna pietà e pertanto riteniamo di dover condividere l’appello del grande Henrikh Mkhitaryan.

“Vostre Eccellenze, Sono un atleta professionista orgoglioso di rappresentare a livello internazionale l’Armenia, il mio paese, e oggi vi scrivo con il cuore pesantemente afflitto.  Mentre il mondo è testimone di una guerra tragica e senza precedenti nel Nagorno-Karabakh, fatemi esprimere la mia profonda preoccupazione nei riguardi della pericolosità in cui riversa la mia patria.  Mentre la guerra si appresta ad entrare nella sua seconda settimana di pesanti scontri, la Armenia (mio paese natale) e l’Artsakh stanno difendendo loro stessi contro gli aggressori, per il nostro diritto primario di essere una Nazione indipendente, di esistere nelle nostre storiche terre e di preservare il nostro patrimonio cristiano conosciuto in tutto il mondo con i suoi valori.

Con l’intensificazione dei voli militari degli scorsi giorni, è davvero straziante vedere come le milizie dell’Azerbaigian stiano mirando direttamente scuole e asili, edifici residenziali, ospedali e altre infrastrutture civili della capitale Stepanakert e altre località densamente popolate.  Queste bombe sono sempre state solite attaccare ripetutamente popolazioni pacifiche, causando numerose vittime e ancora più feriti, molti dei quali sfociano in vite distrutte e destini spezzati. Questi non può essere chiamati diversamente da crimini di guerra.

Porto alla vostra attenzione il fatto che la situazione corrente in Artsakh è al limite di una catastrofe umanitaria. Per di più, questi tragici eventi stanno accadendo con l’intervento diretto di forze regionali esterne e militari stranieri in prossimità della Confederazione Russa e dell’Unione Europea. Tutto ciò costituisce una minaccia diretta alla sicurezza anche per i vostri paesi. Armenia e Artsakh sono sole nella loro guerra contro il terrorismo internazionale. In quanto storici alleati della Repubblica Democratica di Armenia e soprattutto, nel vostro ruolo di co-presidenza del Gruppo di Minsk, è di vitale importanza la vostra richiesta nel richiamare l’Azerbaigian per fermare immediatamente questa guerra devastante.  I nostri giovani stanno morendo sulle frontiere e vengono feriti irrecuperabilmente anziché di partecipare alla costruzione del futuro nel nostro paese. Dal profondo del mio cuore vi chiedo di usare i vostri pieni poteri nel fermare questa tragedia umana e portare avanti negoziazioni pacifiche”.

Caro Miki, anche Noi siamo e resteremo sempre al tuo fianco nella tua giusta battaglia.

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