Praticamente la Roma difficilmente cambia il suo DNA. In panca ci può sedere Mourinho e qualsiasi onesto allenatore o selezionatore ma il risultato è sempre lo stesso: quello di una squadra che, chiamata a rispondere presente nei momenti topici o quand’è fondamentale cambiare passo, risulta latitare.
Sarà l’arietta frizzante dei Sette Colli o la porchetta di Ariccia oppure i bignè fritti di San Giuseppe, ma indipendentemente dall’atleta che indossa la nostra maglietta, prima o poi tutti marcano visita. E’ accaduto anche con i modesti svizzeri del Servette che la Roma avrebbe dovuto vincere a mani basse e meglio se con un casino di gol per restare a pari merito con lo Slavia Praga che, dati i risultati acquisiti in questo penultimo turno, ha realmente ipotecato il primo posto nel girone eliminatorio.
Spesso la passione per il giallorosso ci fa perdonare ogni atteggiamento perché in fondo, si tifa la maglia.
Personalmente sono un vecchio tifoso che ha amato l’attaccamento ai nostri colori di mezzi scarpari che hanno onorato onestamente l’impegno anche se limitato dalle loro possibilità.
Chi non ricorda, ad esempio, le corse del generoso ”Tarzan” Annoni o quelle del biondo Gerolin? Non certamente campioni ma leali professionisti che hanno rispettato in primis i loro tifosi dando tutto ciò che era nelle personali possibilità.
Si dirà che mi riferisco ad un calcio d’altri tempi ma, secondo me, alla base di tutto si difetta della minima onestà intellettuale di alcuni interpreti che nella specifica circostanza (e magari non solo nell’incontro contro il Servette) hanno timbrato il cartellino solo per dovere e non con la convinzione che avrebbero dovuto avere, decisamente richiesta a voce alta dallo Special One.
Mi domando perché non si possono fare i nomi di giocatori che, allo stato attuale delle cose, non vestirebbero neppure la maglia di una qualsivoglia squadra del campionato Cadetto.
Non ci sarebbero scusanti neppure se questi maghi del pallone fossero nauseati di vincere trofei e volessero smarcarsi da caciaroni tripudi plebei.
Potrebbe essere un disistimolo generato da un contratto giunto alla fine e del quale si vorrebbe avere il prolungamento dello stesso forse ritoccando le cifre verso l’alto? O, magari, il miraggio di giocare in uno dei tanti Paesi arabi dove il soldo è più leggero e gli stipendi più alti?
Fatto sta che la Roma quando deve apporre il suo sigillo torna indietro anche se le intenzioni sono in teoria, più ricche a livello di stimoli.
Abbiamo già vissuto prove e riprove di questo inspiegabile atteggiamento, soprattutto quando è necessario trionfare.
Quali soluzioni si possono adottare? A saperlo avremmo vinto molto di più…
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