Chi scrive ha visto la Rometta di Sacerdoti e Oronzo Pugliese, quella di Anzalone e Marchini e la svendita del trio delle meraviglie Landini-Spinosi-Capello alla Juve. Ha patito nel vecchio impianto dell’Olimpico, attendendo l’inizio delle partite leggendo il Tifone che regalavano all’entrata dello stadio. Roma fatte da vecchie glorie venute a svernare nel soleggiato buen retiro del Tre Fontane dopo, magari, aver vinto in gioventù con blasonate squadre.
Questo per dire che ancora quando non si uava il termine di macinare kilometri, il sottoscritto tra pullman (ops…scusate, meglio dire torpedoni) e treni FS, di partite ne ha sul groppone.
La debacle di Genova dev’essere considerata nella sua globalità e non solo a livello umorale. Vero è che all’inizio della stagione dopo una finale europea amaramente rubata da un arbitro prevenuto e incompetente, grazie alla permanenza di Mourinho e l’arrivo di giocatori come Aouar, Paredes, Lukaku, Renato Sanchez, Kristensen e via dicendo, si supponeva che la Roma non avrebbe avuto molti problemi nell’entrare nel lotto delle squadre che parteciperanno alla Champions della prossima stagione.
Guardando oggi il ruolino di marcia dei giallorossi, purtroppo questa ipotesi è al momento talmente remota da non poterla prendere in considerazione. Cinque punti in sei partite con due pareggi, una vittoria e tre sconfitte è una velocità da retrocessione, altro che Europa.
Ma, come anticipato, la sconfitta contro il Genoa dev’essere analizzata e sviscerata a 360° in quanto non un estemporaneo evento, bensì la conferma dello stato di forma fisico e mentale di tutta la squadra.
Ovviamente a parziale giustificazione si può dire che nessuno si sarebbe aspettato la prolungata assenza di Smalling che, quando sceso in campo in questo torneo ha comunque dato il peggio di sé da quando gioca a Roma. Così come si aspettava sì la fragilità di Sanchez ma non questa imperitura vulnerabilità.
Neppure si poteva sospettare la totale regressione di Spinazzola – mai tornato ai livelli dell’Europeo – e quella del baby progidio Zalewski che, forse illuso dai troppi complimenti, si è considerato arrivato già a dama.
Quanti tifosi hanno pensato che la cessione di Ibanez fosse, in fondo, quasi indolore? E poi, troppi gli infortuni muscolari che hanno colpito moltissimi giocatori lasciandoli in convalescenza a Trigoria o mettendoli in campo senz’alcun costrutto, anzi peggiorando le cose.
La Roma di oggi presenta un (non) gioco fatto da passaggi elementari e stucchevoli e di palle giocate all’indietro che, anziché far scoprire l’avversario, provocano l’abbassamento di tutta la squadra che si trova in imbarazzo quando trova avversari atletici e motivati che riescono a spezzare le trame giallorosse.
Praticamente una difesa imprecisa che non perde occasione per mostrare le sue troppe amnesie, si trova a non essere sufficientemente schermata da un centrocampo farlocco e quasi senza idee.
Ovvio che poi, non può essere il solo Lukaku a risolvere la partita con la sua forza o Dybala con le sue magie.
Osservo una Roma priva di stimoli oltre che di forze psicofisiche e, quel che è peggio, uno Special One che pare veramente aver dato tutto ciò che poteva a questa sua Roma. Magari è un problema l’incertezza a proposito del suo futuro (come sempre la proprietà non divulga nulla) oppure che si è giunti ad un break event point negativo tra lui e il vertice societario per cui, continua per forza d’inerzia.
La preoccupazione ora è quella di trovare la quadratura del cerchio sia per il gioco che per i risultati , in rispetto dei tifosi che mai abbandoneranno la squadra.
Comments are closed.