E ora ci tocca pure difendere la Roma. Non dagli attacchi di chi le finali è abituato a vederle dal divano e ogni anno con una sciarpa diversa al collo, nemmeno dai soliti (ig)noti che tempestano il web con i noiosi “murigno che ce deve insegnà a noi?” (che ne so, tipo l’italiano? La butto lì, fatemi sapere). No, ci tocca difenderla da quei codardi che, seduti dietro a una scrivania, decidono, predeterminano, premiano e puniscono in base a logiche di mercato note solo a loro. Perché se è vero che un arbitro può essere scarso, e noi in Italia lo sappiamo fin troppo bene, un essere umano dotato di bulbi oculari funzionanti non può non vedere, per di più davanti a uno schermo e con mille mila fonti diverse rallentate, per giunta.
E quindi? Quindi nascondiamo la testa sotto la sabbia del “gomblotto” esponendoci al pubblico ludibrio anche noi? Ni. Perché la squadra è arrivata coi cerotti alla finale, perché i pezzi pregiati erano scheggiati e tenuti insieme da nastro adesivo e colla vinilica, perché le idee erano finite già a dieci minuti dalla fine del primo tempo e perché non si può entrare in un ristorare da 100€ con una banconota da dieci in tasca. Ma questo è accettabile, anzi nobilita lo sforzo sovraumano compiuto dai ragazzi in maglia rossa, eleva a eroico una overperformazione (che non vuol dire nulla, ma volevo usarla) che per poco non ci faceva vedere le porte del Paradiso dal di dentro.
Ma tacere davanti allo scempio di un arbitro a senso unico per 146 minuti (secondo mamma Rai, la partita di calcio più lunga della storia; che facciamo, ci fidiamo?), coi cartellini per i nostri e mai per i loro, con un paio di rigori solari negati, roba che all’asilo Mariuccia nemmeno i più scafati truffaldini dei bassifondi si sarebbero sognati di negare, non dobbiamo e non possiamo restare in silenzio. A chi giova a tutto questo? Al Siviglia, che sta scrivendo una storia fatta da sette finali e sette vittorie? Non voglio crederlo. Mi rifiuto che si voglia piegare un’onesta tenzone per scrivere un capitolo nel grande libro della storia del calcio. E allora? Chi ci guadagna? Forse dobbiamo farci la domanda contraria: chi ne esce danneggiato?
Eh si, perché non sempre chi ti toglie dalla cacca lo fa perché ti vuole bene. Il movimento calcio italico, che tanto male è visto all’estero, nei piani alti della torre di vetro dove si decide chi è bello e chi è brutto, ha portato ben tre squadre nelle tre finali di casa. Il mondo le vedrà e comincerà a pensare che forse il calcio nel Bel Paese non è solo mafia, artifici amministrativi e doping contabile. Forse in Italia si gioca ancora a calcio, forse c’è ancora qualcuno che si impegna, progetta, realizza, studia e si batte per qualcosa di giusto e ci riesce pure. No. Non si può, non lo possono permettere. Perché sennò il carrozzone da 2 miliardi di euro inglese perde interesse (=soldi) se si venisse a sapere che il “football” non è solo corsa, fisico e gente pagata 200 milioni. Pensa se si scoprisse che al calcio si può giocare e vincere anche spendendo solo 7,5 milioni per Celik. Impensabile. Imponderabile. Inammissibile. Quindi?
Quindi si manda una marionetta ben addestrata a fare il suo sporco lavoro, a fare di tutto per alterare una regolar contesa, a indispettire, a innervosire, a falsificare uno sport che ormai è più sporco di un film dalla trama inutile girato con un Iphone nello scantinato della nonna. Tanto dei secondi non si ricorda nessuno. Tanto negli highlights della partita ci finiscono i gol, i pali, i rigori tirati alla fine e 2 minuti di premiazione su un filmato su YouTube di quattro minuti e mezzo. I due rossi che avrebbe dovuto avere Lamela (la gomitata su Ibanez e la Spear sempre sul brasiliano nel recupero del recupero del secondo supplementare), quello di Rakitic per il fallo su Roger poco dopo il solare rigore negato alla Roma (ma sempre su di lui, poi?) non ce li mettiamo mica. Il comico giallo a Mancini che fa vedere a Taylor la maglia strappata e si prende un giallo per proteste o a Cristante per lo stesso motivo dopo l’ennesimo tentativo di gambizzazione di Dybala, nemmeno. Sta roba negli annali non troverà posto.
Ma nella nostra memoria si. Tutte queste cose, come il grande coraggio e la prova maiuscola di tutta la squadra che, stoicamente, ha raggiunto la seconda finale in due anni, resteranno nella mente e negli occhi di milioni di romanisti e tifosi in tutto il mondo. Quando il giocattolo si romperà, perché si romperà prima o poi, ci sarà che piangerà disperato e chi risponderà “embé? Ve ne siete accorti solo ora? Buongiorno principi e principesse…” e quelli saremo Noi.
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