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Il complesso di inferiorità

‘Roma piagnona’, ‘sempre con la scusa degli arbitri’, ‘tanto alla fine del campionato, gli errori si compensano’, ‘si vabbè l’arbitraggio, ma la squadra non gira’, ‘c’avemo solo giocatori mediocri’, ‘Mourinho è bollito’, ‘lo Special One è restato al calcio di dieci anni fa’.

Questo è quanto si può leggere non solo sulla carta stampata, ma anche su siti che si professano di essere romanisti e tutto ciò è più che sconfortante.

A bocce fredde, dopo aver somatizzato la sconfitta contro il Bologna, come lupi che hanno combattuto e rimediato ferite, ci si deve autotutelare e ragionare razionalmente.

Vediamo come.

La società

I Friedkin, e non certo perché nati alla Garbatella, hanno creduto in un investimento a medio raggio acquistando la Roma. Ovviamente se non si chiamava in questo modo ma Vattelapesca, difficilmente questi signori avrebbero speso neppure un cent di dollaro. Ma Roma ha qualcosa di prezioso che è indissolubilmente parte del suo DNA, ossia il nome.

Roma evoca, non solo la Capitale, ma una millenaria storia di un impero che nell’antichità, ha dominato gran parte del mondo allora conosciuto. Inutile ribadire la storia, l’arte, la cultura e la civiltà che Roma ha saputo espandere in Occidente e in parte dell’Oriente. I resti archeologici parlano da soli.

Dici Roma e pensi al Colosseo o alla sede della Cristianità e questo basta a fare di questo nome, un logo senza prezzo conosciuto a livello planetario. Non si può dire lo stesso di altre città italiane per quanto belle e famose e neppure di altre parti del mondo.

I Friedkin sono investitori oculati in quanto i soldi che infondono nei loro progetti non appartengono ad un fondo speculativo bensì fanno parte del loro patrimonio.

Nel progetto ‘Roma’, stanno spendendo senza badare a spese ma rispettando il principio di non dilapidare – Sensi docet- il loro capitale per quanto questo possa essere significativo.

Il progetto prevede il risanamento dell’esercizio finanziario e la valorizzazione di asset fino al loro arrivo, non propriamente valorizzati. Questo lo si ottiene mettendo esperti capaci nelle varie gestioni e in una programmazione che dev’essere minuziosamente rispettata. Come tutti gli oculati investitori, sanno che per portare avanti questo concept c’è bisogno di tempo e di supervisionare ogni step che si affronta e che è stato preventivamente calendarizzato. Cosa che stanno facendo restando vicinissimi alla squadra come se l’avessero sempre fatto.

Ovviamente, è possibile ipotizzare che si siano innamorati di questi nostri colori e che l’affetto ed il calore del tifo romanista, abbia fatto scattar loro quella molla di amore che solo chi è romanista sa di avere dentro di sé.

Oltre a profondere euro costantemente, i Friedkin hanno fatto piazza pulita dell’organico che conta, inserendo le pedine giuste dove queste occorrevano per una corretta gestione societaria. Segno che il progetto sta seguendo l’iter programmato.

La squadra

Per essere un team di calcio conosciuto in tutto in mondo come un Real Madrid, un Bayer, un PSG o un Manchester, si devono vincere spesso trofei nazionali ed internazionali e per raggiungere questo obiettivo è necessario disporre di un allenatore vincente e scaltro, un management medico-atletico di pari livello, una struttura innovativa che serve per allenarsi e, logicamente, un parco giocatori di alto livello.

Questo che stiamo vivendo dev’essere considerato l’anno zero della Roma e proprio per iniziare quel percorso che deve avviarsi in questo duro cammino, la proprietà ha ingaggiato l’allenatore più vincente. Lo Special One, che sprovveduto proprio non è, prima di accettare ha voluto avere una globale visione del progetto Roma e solo dopo aver avuto le debite garanzie, ha accettato l’onere di essere il Mister giallorosso.

La squadra ereditata dalla precedente gestione era quasi tutta da rifare, da sfoltire, da implementare e da motivare e, con tutte le difficoltà del caso -sempre frutto di quanto si è trovato in quel di Trigoria- Tiago Pinto, ha incominciato il suo non semplice lavoro. Togliersi di torno pesi morti dal costo mensile esorbitante non è stata una facile operazione ma, con una certa costanza, questo processo è andato avanti anche se occorre ancora continuarlo fino alla fine.

In merito alla campagna acquisti, una novantina di milioni sono stati tuttavia spesi, anche se non hanno risolto il problema al cento per cento. Sarà necessario intervenire in gennaio nella finestra invernale del calcio mercato e successivamente in quella estiva per iniziare a veder prendere forma quella che sarà la Roma del futuro che fa affidamento anche su giovani promettenti come Felix e Darboe, frutto del vivaio giallorosso.

Ogni tifoso romanista, infuocato dalla sacra fiamma dell’entusiasmo, avrebbe desiderato un istantan team per vincere sin da subito ma questo avrebbe significato gettare gli sforzi finora profusi in ambito finanziario per riequilibrare il funesto bilancio societario e avvalersi di campioni ben maturi con i quali fare un paio di campionati e nulla più.

L’esempio Dzeko è lampante. Con la sua nuova squadra, il cigno di Sarajevo sta intonando l’ultimo suo canto prima di un ovvia flessione derivante da una impietosa carta d’identità. Sarebbe valsa la pena di tenerlo ancora un paio d’anni a 15 mln di euro l’uno? Forse è stato meglio investire su Abraham, data l’età e la bravura che lo contraddistingue e ai suoi detrattori, suggeriamo di attendere almeno questa stagione dove il ragazzo deve adattarsi per conoscere il calcio italiano e il metro di giudizio arbitrale che è ben differente da quello con il quale si è confrontato prima di scendere a Roma.

Arbitri, poteri occulti

La Roma, storicamente parlando, non è mai stata una squadra vista dal potere calcistico in modo benevolo. O meglio. Fin quando era la simpatica Rometta – vedasi Anzalone per esempio- poteva passare per una outsider ma con l’avvento dell’ing. Dino Viola e, successivamente, con Franco Sensi, la Roma ha incominciato ad essere una rompipalle. Di esempi ce ne sono così tanti che non basterebbe scrivere fino a dopodomani, quindi lasciamo al lettore l’incombenza di farsi una propria cultura sul web.

Ovviamente se non sei simpatico ai poteri occulti, non puoi esserlo neppure con l’AIA. Che la classe arbitrale italiana sia – checchè si creda il contrario- mediocre, è un dato di fatto. Se a questa poca qualità ci mettiamo anche pregiudizievoli preconcetti che sfavoriscono i colori giallorossi, ecco che abbiamo la quadratura del cerchio.

Una cazzata quella di dire che alla fine dei giochi, torti e regali si compensano perché non è affatto vero e non vi sono certezze.

Se poi ci sono giocatori che hanno la nomea di essere spocchiosi, viziati ed antipatici come Nicolò Zaniolo, allora la frittata è fatta. Non gli si fischiano punizioni a favori perché gli avversari non sono fallosi e, al contrario, è lui a gettarsi a terra fingendo di essere stato colpito. Peccato però che quando la Nazionale chiama, l’italiano lo tifa per il suo modo di scappare all’avversario e di creare occasioni da rete. Personalmente fossi Nicolò, non risponderei alle convocazioni azzurre in quanto non ne vedrei la ragione. Se sono da tutelare come atleta importante, lo devo essere anche quando indosso la maglietta della squadra per la quale gioco, no?

Poco importa se una Roma decimata dovrà affrontare l’Inter in una impari partita. Sappiamo che questa nostra inferiorità è destinata ad essere compensata in un prossimo futuro quando la squadra potrà contare su giocatori e riserve, all’altezza della situazione. E poi rideremo noi…

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