Il sistema di gioco di Fonseca – Seconda Parte
Premessa
Il Covid ha trasformato la nostra vita quotidiana e le nostre attività lavorative, oltre ad averci fatto vivere un tragico scenario di morte e dolore che è ancora vivo sotto ai nostri occhi.
Come per tutte le nostre attività lavorative, e non solo, la Roma come squadra ha avuto una fase pre lockdown e un’altra di post-lockdown.
Vista la drammaticità di quanto accaduto, ne è uscito un calcio diverso. Alcune regole sono cambiate e anche lo spirito di chi scendeva in campo, oltre al continuo monitoraggio sanitario, ha stravolto l’approccio alle gare del campionato di calcio. Ma iniziamo dall’estate del 2019 quando eravamo più spensierati per l’arrivo dell’estate, e per chi ama il calcio, c’era il fantasmagorico mondo delle illusioni del calciomercato.
L’avventura alla Roma
La stagione 2018/2019 della Roma fu una stagione deludente, figlia della mancata decisione da parte della dirigenza di effettuare un cambio tecnico alla conduzione della squadra.
Le campagne acquisti parzialmente sbagliate negli anni precedenti (Monchi), e l’illusione di poter vivere sugli allori, dopo la vittoria contro il Barcellona nei Quarti di Finale di Champions League (10/4/2018), furono le principali cause di questo attendismo.
Attendismo che produsse risultati negativi nel team di Di Francesco, che portò all’esonero del tecnico e all’avvicendamento con Claudio Ranieri alla guida della squadra.
La squadra, nonostante il cambio tecnico, non centrò l’accesso in Champions League.
Anzi si percepiva una confusione sia a livello tattico che a livello mentale, sentita dalla tifoseria, dalla stampa ma soprattutto dalla dirigenza.
Il Presidente Pallotta, o chi lo consigliava, decise di consegnare le chiavi della squadra al tecnico Paulo Fonseca.
Tecnico che i lettori hanno già conosciuto nella prima parte di questa analisi tattica.
In questa seconda parte vorrei porre in evidenza il cambio di mentalità e la ricerca del gioco adottata da Fonseca.
Dovendo fare un paragone, il sistema di gioco a cui Fonseca vuole ispirarsi, è molto più vicino al primo periodo di Luciano Spalletti, piuttosto che al modulo adottato da Eusebio Di Francesco.
Fonseca sapeva che il meccanismo oliato dello Shakhtar Donetsk, non era proponibile nel breve e forse riuscì veramente nell’intento solo nella partita di Firenze del 20 Dicembre 2019.
Come raccontato nella prima parte, Fonseca ha ricercato di proporre un gioco posizionale, che è il suo biglietto da visita, attaccando e portando molti uomini a ridosso della trequarti avversaria.
La qualità brasiliana dello Shakhtar Donetsk non c’era e non c’è ancora a Roma, e intelligentemente il tecnico ha cercato di apportare delle modifiche durante questa travagliata prima stagione di Serie A.
Il modulo di gioco ( fino a Marzo 2020)
Distinguiamo le tre fasi che caratterizzano oramai il calcio moderno.
Nella fase statica, al rilancio del portiere o nelle fasi di gestione della palla, la Roma si schierava con il classico 4-2-3-1.
Nella fase di possesso offensiva il modulo si modificava in un 2-2-5-1, dove i terzini assumevano una posizione avanzata sulla linea delle trequarti.
Durante la fase difensiva di non possesso la squadra assumeva un 4-3-2-1, dove il trequartista centrale, Pellegrini solitamente o Mkhitaryan indietreggiava per schermare la difesa.
Fase di possesso
La filosofia di Fonseca non è cambiata nel viaggio dall’Ucraina a Roma. La squadra deve ricercare il possesso palla come arma per dominare e mantenere il controllo della partita.
Non avendo molti palleggiatori in rosa, il dominio della sfera non è imprescindibile, ma rappresenta una condizione necessaria affinché si possa sviluppare nel migliore dei modi la trama offensiva.
Come già detto, per i lettori che hanno avuto modo di leggere la prima parte, la costruzione del gioco avviene dal basso.
Solitamente, uno dei due centrocampisti, Diawara piuttosto che Veretout scende sulla linea dei due difensori centrali, divenendo il punto di riferimento della costruzione.
Fonseca, come la maggior parte dei tecnici europei, adotta la ‘salida Lavolpiana’. La Salida Lavolpiana, ricordo, è un sistema per far progredire l’azione dal basso, sviluppato inizialmente per facilitare l’uscita del pallone dalla zona dei due centrali difensivi.
Come attuato dalla Roma, tale sistema, prevede che, in fase di costruzione bassa, il centrocampista si abbassi tra i due centrali difensivi, Smalling e Mancini.
I due difensori accolgono il centrocampista allargandosi a loro volta, sfruttando lo spazio lasciato dai terzini, Florenzi e Kolarov, alzatisi fino alla linea dei centrocampisti o dei trequartisti.
Questo crea quella famosa linea arretrata di tre difensori che garantisce superiorità numerica ed agevola l’uscita della sfera dalla propria trequarti.
Nella costruzione del gioco viene sempre coinvolto il portiere Pau Lopez, il quale offre due alternative.
La prima è l’appoggio per liberare le situazioni pericolose, mentre la seconda è il lancio che permette di superare la prima linea di pressione, vista la sua abilità con i piedi. Questo è importante nel calcio moderno per il gran numero di squadre che effettuano un pressing alto.
Pau Lopez, ex portiere del Betis Siviglia, è stata una richiesta di Fonseca proprio per le sue doti di gestione della sfera, oltre a quelle tecniche (offuscate, e per molti tifosi perse irrimediabilmente, nell’ultima fase di Campionato nel post Lockdown, o forse a partire dal derby di ritorno del 26 Gennaio 2020).
La serie A non è il campionato ucraino e pertanto uno dei due terzini, a turno, deve restare per aiutare i centrali difensivi, qualora si creasse un intasamento centrale.
Seconda fase di costruzione
Nella seconda fase di costruzione, allargandosi i terzini e spingendosi fino alla trequarti avversaria, si garantisce ampiezza alla manovra in modo da fornire agli esterni alti, solitamente Zaniolo a destra e Perotti a sinistra, di abbassarsi e stringere al centro del campo.
Movimento usuale dei trequartisti brasiliani, che Fonseca ha cercato di infondere nei trequartisti a disposizione, prediligendo quelli con migliore tecnica e spirito di abnegazione.
Il movimento del trequartista, a sinistra Perotti diventa assieme a Veretout la prima opzione di passaggio per lo sviluppo dell’azione, sfruttando la catena di sinistra, ben collaudata nelle precedenti gestioni tecniche Kolarov-Perotti.
Il movimento compiuto da Perotti di discesa e accentramento con l’auspicio di ricevere la sfera, dietro la prima linea di pressione avversaria, permette di attirare la linea di equilibrio del pressing avversario e liberare lo spazio per la ricezione di Pellegrini.
Pellegrini ha, in tale fase, il compito di rifinire oppure di tirare da fuori o di cambiare lato (fare un piccolo cambio gioco) spostando, laddove lo spazio fosse intasato, l’azione sul lato destro.
La fase di rifinitura e finalizzazione deriva sempre dall’avanzamento dei terzini, che vanno ad aggiungersi ai trequartisti, creando una superiorità numerica offensiva.
Inoltre, l’accentramento dei trequartisti, porta all’occupazione degli ‘Half-spaces’ cioè degli spazi a metà che permettono di intercettare le linee di passaggio in caso di perdita temporanea della sfera.
Il ruolo svolto dai terzini è importante anche perché presidiano le fasce allargando il campo.
Ciò libera Pellegrini, in grado di svariare per tutta la linea di rifinitura. Oltre all’importanza della catena Perotti-Kolarov, dall’altro lato Florenzi trova l’appoggio di Pellegrini, nella sovrapposizione, mentre Zaniolo viene lasciato più libero di sfruttare la propria velocità e fisicità, con strappi e inserimenti.
Un approccio diverso in fase di rifinitura viene dal modus operandi della squadra nella fase offensiva.
Seppur i terzini forniscono l’ampiezza alla manovra, la squadra di Fonseca predilige attaccare la linea avversaria per vie centrali. Infatti, sono sporadici i cross provenienti dal fondo. Quindi, anche statisticamente, gli attacchi sono stati portati centralmente.
Al lettore ciò potrebbe sembrare una contraddizione, rispetto a quanto letto nella sua esperienza ucraina, invece non è così.
Fonseca per il suo gioco è sempre alla ricerca di un attaccante moderno o centravanti atipico ed è aiutato in questo dalla presenza di Dzeko. Forte tecnicamente e abile nei movimenti, da trequartista rifinitore, il bosniaco è un facilitatore di gioco per i compagni di attacco. Dzeko, grazie ad un controllo palla e ad una fisicità eccelsa, riesce a calamitare molti palloni, che come direbbero gli esperti sembravano persi. Tenere la palla, vuol dire anche rallentare o accelerare il ritmo di gioco, e riuscire a vedere l’azione evolversi prima che questa si concretizzi.
Un’altra caratteristica posseduta dal bosniaco, che Fonseca apprezza e lascia che non venga snaturata, è quella di andare spesso incontro al possessore di palla per poter dialogare in un fraseggio dispensatore di idee per la trama offensiva.
I cultori del centravanti puro storceranno un po’ la bocca, ma Dzeko è un calciatore moderno e quindi un riflesso dei tempi del calcio.
Il movimento di Dzeko, che porta il bosniaco spesso all’esterno dell’area di rigore, oltre ad avvicinare l’attaccante alla palla, scompiglia l’ordine posizionale prestabilito nella difesa avversaria. Inoltre, questo agevola e libera lo spazio favorendo gli inserimenti degli attaccanti esterni.
L’altra arma micidiale del team di Fonseca è la ripartenza. Solitamente sfruttando gli spazi in campo aperto, grazie alle corse di transizione in avanti di Pellegrini, Perotti e Mkhitaryan e soprattutto alla velocità e all’abilità nel dribbling uno contro uno di Zaniolo, Under o Spinazzola.
Per descrivere al meglio questi aspetti, consiglio al lettore la visione del video. (Fiorentina-Roma del 20/12/2019)
Caratteristiche
Non è certamente una caratteristica della squadra di Fonseca quella di recuperare la palla nelle zone alte del campo, a meno che questo non generi un immediato vantaggio dovuto ad uno schieramento errato della difesa avversaria, o uno sbilanciamento offensivo troppo disinvolto dell’avversario.
La riconquista della sfera avviene nella zona tra il centro del campo e la difesa, in particolar modo con i due centrocampisti Diawara e Veretout.
Partendo da questa riconquista, la squadra di Fonseca può imbastire la trama di gioco, sempre partendo dal basso. Questo, ovviamente come detto in precedenza, non esclude le verticalizzazioni rapide per approfittare degli eventuali spazi concessi dagli avversari.
Un classico esempio è il quarto gol di Zaniolo nella trasferta di Firenze.
Questo sistema implica la rinuncia alla supremazia nel possesso palla per trarre profitto dagli spazi concessi dagli avversari.
Il ruolo del centravanti, che nelle squadre di Fonseca deve essere atipico in quanto svolge un lavoro di costruzione, è ricoperto da Dzeko che resta alto, cercando l’ultimo difensore o posizionandosi in una zona dove poter ricevere la palla addosso per fare da sponda verso i compagni.
Per questo lavoro il bosniaco si alterna con Zaniolo, che ricerca delle zone in cui poter essere servito sulla corsa.
Le situazioni di verticalizzazione sono il classico esempio per le quali si prospettano i rapidi ribaltamenti di fronte.
Fase di non possesso
In questa fase sono importanti le linee di pressione. La prima portata da Dzeko e dagli esterni offensivi. Fase che ha come obiettivo quello di disturbare la costruzione di gioco avversario, cercando di spostare il possesso avversario sui lati esterni.
Focus della fase di non possesso e del pressing portato con tale linea, è quello di non concedere la ripartenza della palla ‘pulita’. Sporcando l’azione di costruzione avversaria si cerca di chiudere le linee di passaggio centrali.
Come si effettua questo? Si congestiona il centro con la densità di uomini in quella parte del campo. Da questo momento, la Roma inizia la riconquista del possesso della palla nella zona nevralgica del campo che è la propria trequarti.
Questa fase viene svolta in modo esemplare dalla coppia Veretout-Diawara che creano una cerniera a centrocampo.
Fase importante per poter difendere con pazienza e soprattutto a difesa schierata. Problema evidenziatosi a inizio stagione dove la squadra subì troppe reti e che si è ripetuto nelle prime gare del post lockdown.
È un rischio ponderato, ma inevitabile dovuto alla propensione offensiva della squadra, colmabile con i recuperi lungo le linee di difesa per coprire lo spazio lasciato libero.
Dopo un periodo iniziale di rodaggio, il sistema difensivo si è dimostrato efficiente, con la diagonale della linea che ha garantito almeno due livelli di copertura dietro al marcatore. Smalling e Mancini sono una coppia affiatata, che si coprono a vicenda nelle uscite palla al piede in fase di impostazione.
C’è però da registrare uno scarso dinamismo nella fase difensiva da parte di Kolarov, che spesso ha fatto mancare la sincronizzazione dei movimenti, così come nella fascia opposta Florenzi.
I due esterni Florenzi e Kolarov nella prima fase di stagione hanno subito spesso nell’uno contro uno affrontando l’esterno offensivo avversario. Per tale motivo, Fonseca ha dato spazio a Spinazzola a sinistra principalmente, e a destra a Bruno Peres e Zappacosta nella fase finale della stagione, quando l’ex capitano romanista è stato ceduto in prestito al Valencia. In tal modo ha ottenuto maggiori garanzie per la tenuta della linea, perdendo, tuttavia, molta qualità in fase di possesso.
La fase di transizione negativa
Uno dei problemi principali di questo sistema di gioco è dato dal fatto che, portando molti uomini nelle zone alte del campo, i calciatori più arretrati devono garantire la copertura e una precisa sinergia nelle fasi difensive.
In particolare, mantenendo i meccanismi dettati da questa proposta offensiva.
In genere nella prima fase pre lockdown e nelle prime partite post lockdown, la Roma restava solamente con 2 o 3 calciatori dietro la linea del pallone (di solito, solamente con Smalling e Mancini)
Per quanto riguarda le coperture preventive, risultava fondamentale la fase di alternanza tra Diawara e Veretout.
In pratica, quando uno dei due centrocampisti veniva coinvolto nelle fasi di costruzione e sviluppo del gioco, l’altro doveva sempre offrire la copertura necessaria al reparto.
Per questo sistema di gioco è imprescindibile l’azione dei due centrocampisti. Azione di tamponamento successiva alla perdita del possesso. Le caratteristiche dei due portano anche ad un’interpretazione diversa del ruolo. Il francese tende a difendere proiettandosi in avanti, mentre il guineano preferisce l’attesa facendo da schermo sulla trequarti difensiva. Questo modo di interpretare il ruolo è risultato prezioso perché ha consentito di correre all’indietro ‘a palla scoperta’, portando superiorità sulla prima linea di difesa. Problema atavico nella Roma di inizio stagione pre lockdown e post lockdown. Entrambi, comunque, sono molto abili nella lettura preventiva dell’azione e nella fase di intasamento delle linee di passaggio della squadra avversaria, sporcando la costruzione offensiva centrale.
La difesa a tre
Nella seconda fase della stagione, ma ciò accade anche nel mese di gennaio, la Roma perde lo smalto. Complice la forzata assenza di Zaniolo, per infortunio, oltre alla scarsa concentrazione degli interpreti nelle varie fasi.
Il problema sotto gli occhi di tutti è la difesa e la fase difensiva spesso lasciata troppo sola e non schermata a dovere.
Fonseca decide di bloccare la ‘salida Lavolpiana’ ponendo un terzo difensore che propone gioco. Esperimento tentato con l’inserimento di Cristante tra i due centrali e poi reso fisso a partire dalla gara in casa, contro il Parma, dell’8 Luglio.
Il tecnico schiera alternativamente il difensore centrale brasiliano, nuovo arrivato dal mercato invernale, Ibanez, o Kolarov spostandolo dal ruolo di terzino sinistro.
In tal modo la squadra si trovava ad affrontare le gare con un 3-2-5-1 in fase offensiva o con un 3-4-3-1 in fase di recupero palla. Quest’ultima fase di torneo, grazie a questa modifica, ha fornito ottimi risultati, impermeabilizzando la fase difensiva con l’ulteriore densità data dai due centrocampisti come filtro.
Anche in questo caso, per descrivere nel miglior modo quanto evidenziato, consiglio la visione del video. (Roma -Parma del 8/7/2020)
Conclusioni
La Roma ha avuto varie ‘pelli’, che la hanno mutata in meglio, dall’inizio stagione alla fase autunnale, poi nuovamente dopo l’appannamento di gennaio e alla ripresa del torneo, partendo dalla gara contro il Parma.
Fonseca ha mostrato la sua bravura nel leggere le debolezze avversarie e preparare in modo intelligente le gare.
Un primo neo, anche nell’ultima fase, riguarda l’insistenza nel fraseggio da parte dei centrali difensivi, che spesso incorrono in errori.
Un altro errore è la palese difficoltà mostrata nella spasmodica ricerca di creazione occasioni con lunghe azioni manovrate. Questa debolezza porta inevitabilmente a subire ripartenze o contropiedi avversari.
La rinuncia a Smalling o Mancini, per infortunio o squalifica, e il subentro di Fazio, rende la fase di implementazione del gioco lenta e macchinosa, e quindi vittima di quanto riportato in precedenza.
Quello che balza agli occhi nella Roma è la messa in pratica dei principi di Fonseca, modellati in base al contesto o allo scenario trovato oppure al ritmo partita in quella determinata gara.
Spesso, infatti, il portoghese ha rinunciato al possesso prolungato (must nello Shakhtar) per ricercare la verticalità immediata.
Fonseca ha adattato il gioco ai suoi interpreti (come nell’esperienza ucraina), che hanno caratteristiche uniche nel contesto italiano (Mkhitaryan, Zaniolo e Dzeko), come nello Shakhtar Donetsk poteva contare sui tre trequartisti e il falso nueve (4 calciatori di scuola brasiliana).
Fonseca ha fatto assimilare in modo graduale il modello di gioco che ha in testa, mettendolo ogni tanto in stand-by, per poi riproporlo migliorato.
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