Che Mourinho sia un allenatore ultra vincente non è una personale opinione, bensì un dato di fatto.
Che i Friedkin abbiano salvato la società e pompato centinaia di milioni di euro non è una personale opinione, bensì un dato di fatto.
Sono sufficienti questi due elementi per nutrire la massima fiducia di una tifoseria incerta e pronta ad ascoltare radiocazzare e pennivendoli che a Trigoria non mangiano più come avveniva prima dell’avvento della nuova proprietà.
Partiamo dal presupposto che il nostro allenatore, prima di sottoscrivere un ricco contratto triennale con la Roma, abbia criticamente analizzato il parco giocatori a sua disposizione e che da questo – e con l’ovvia collaborazione di Pinto – abbia deciso di recidere i rami secchi, ovvero giocatori che non potevano partecipare al suo progetto a media scadenza, ossia tre anni per vincere qualcosa.
Certo, l’entusiasmo portato dallo Special One e confermato dalle prime apparizioni della squadra, ha fatto vacillare la considerazione che sarebbe stato necessario del tempo prima di vedere la vera Roma vincente ma poi, vuoi o non vuoi, c’è stato un repentino cambio di direzione.
La causa è costituita da una serie di motivazioni che partono innanzitutto dai giudizi espressi da ben quattro arbitri in altrettanti incontri dove la Roma è stata fortemente penalizzata da episodi non esattamente equi, tant’è che tutti questi direttori di gara sono stati successivamente fermati dall’AIA per riflettere sugli errori di valutazione commessi.
Se a questo, aggiungiamo che la panchina della squadra non ha ricambi all’altezza della situazione e che su certi ruoli, addirittura, mancano del tutto…abbiamo la quadratura del cerchio.
Ovvio che la calcistica Italia che odia i nostri colori ci abbia già dipinto come piagnoni e via dicendo ma, analizzando freddamente ed oggettivamente quanto subito dalla Roma, il tifoso si lamenta per evidenti errori che hanno penalizzato oltremodo la squadra.
Appare nitido il fatto che la Roma sia la formazione italiana che abbia tirato in porta più di tutte le altre squadre e ciò è accompagnato anche da una indicibile jella che si evidenzia nei legni colpiti da vari giocatori.
Sempre per considerare le oggettività a mente fredda, non possiamo pretendere che i nuovi innesti acquistati durante l’ultima sessione di mercato, abbiano bisogno di tempo per capire il calcio italiano e per inserirsi all’interno di un contesto mai vissuto prima. È sufficiente ricordare la prima stagione di un tal Rudi Voeller per capire che certe potenzialità esplodono solo successivamente ad un periodo di acclimatamento e che Abraham e Vina, non possono essere accusati di poca incisività o di scarsa attitudine allo sforzo atletico.
In periodi come questi dove lo sconforto prende il sopravvento, chi ha vissuto dal vivo quel momento all’Olimpico, non può non far tornare alla mente la notte quando la Sud s’inventò quel ‘che sarà, sarà’ che stava a dimostrare tutto l’amore e l’attaccamento nonostante l’uscita da quella competizioni europea che, due settimane prima, aveva fatto riempire Monaco di Baviera da una marea di tifosi giallorossi.
Oggi che i social indicano la temperatura del tifo dove si assistono a twitter pieni di amore provenienti dal Roma Club di New York, da quello dell’Avana, da Stoccolma, da Londra, da Manila e via dicendo, sarebbe proprio osceno per il tifoso capitolino cedere alle incertezze su quelle che certezze sono. Come diceva il saggio ing. Viola Dino, ‘’piangono i deboli, la Roma non piange mai’’.
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