La porta del Mercedes 343 si apri con un cigolio che nessuno ascoltò ed iniziarono ad entrare i tifosi saliti da Roma la notte prima.
A quell’epoca lavoravo in un’agenzia di viaggi che faceva capo ad una società di noleggio pullman granturismo che si chiamava Nobel Tour e che possedeva una ventina di veicoli solitamente utilizzati per tour ed escursioni. Insieme al mio collega di lavoro, un altro romanista sfegatato, avevamo deciso di organizzare la trasferta a Torino per assistere ad uno Juventus-Roma che poteva determinare lo scudetto 1980/81 in quanto, in caso di vittoria giallorossa, la Roma avrebbe scavalcato la Juventus (di sopra di un punto) a due giornate dal termine.
Avevamo previsto di riempire un pullman da 54 posti ma alla fine furono ben tre i torpedoni che marciarono verso il Piemonte.
L’appuntamento era per le ore 24 della notte tra sabato e domenica 10 maggio e, all’arrivo dei mezzi provenienti dal garage che si trovava alle Capannelle, il folto gruppo di tifosi entusiasti e speranzosi, già era presente.
Nell’arco di un quarto d’ora, tutti quelli che avevano aderito, erano montati sui pullman e li avevamo dotati di regolare biglietto che avevamo precedentemente acquistato direttamente dalla società.
I quasi settecento chilometri dell’andata, scivolarono lisci con un paio di soste all’autogrill. Il nostro, era un gruppo di tifosi non affiliati a nessun capopopolo ma, potremmo dire, dei cani sciolti innamorati di quella squadra che stava diventando Magica, allontanando la rometta dei tempi cupi.
Qualche minuto prima delle sei della mattina del 10 maggio arrivammo davanti al Comunale. Avevamo tantissime ore da spendere in città e avevamo dato solamente l’orario di partenza per Roma, lasciando liberi tutti di organizzarsi come meglio ritenevano opportuno.
Il mio amico Marco ed io, decidemmo di attendere l’apertura di un bar per il caffè per poi tornare dentro al pullman per dormire un poco.
Inutile dire che non riuscimmo nell’intento, consumando l’attesa tra ipotesi e chiacchiere di varia natura che durarono fin tanto che non vennero aperti i cancelli dello stadio.
Juventus-Roma non era stata mai considerata una “classica” ma da quel giorno lo divenne soprattutto per quanto avvenne.
La Roma, in quella stagione, aveva assunto il ruolo di un rullo compressore grazie alla consapevolezza dei suoi mezzi e della paciosità di Nils Liedholm che aveva improntato il gioco sulla sua classica ragnatela di passaggi per poi sfruttare l’estro di Bruno Conti e le doti da bomber di Roberto Pruzzo.
L’arbitro Bergamo è chiamato a dirigere l’incontro e lo fa con una indiscutibile imparzialità senza soffrire alcuna sudditanza psicologica tanto che passato il primo quarto d’ora di gioco, espelle il picchiatore Furino e lasciando i bianconeri in dieci.
Con l’uomo in più la Roma riempie meglio gli spazi e verso la mezzora, con una delle sue classiche volate, Bruno Conti crossa verso l’area juventina dove, con la collaborazione di Pruzzo che allunga la sfera di testa, Ramon Turone da Varazze colpisce sempre di testa infilando la rete dei padroni di casa. Era il tanto sperato sorpasso!
L’arbitro indica il centro del campo ma viene fermato dalla bandierina alzata del suo collaboratore, il guardalinee Sancini, che segnala un inesistente fuorigioco.
Gol annullato e palla alla Juventus per la ripresa del gioco.
La nostra esplosione di gioia venne bloccata sul più bello con una serie di imprecazioni rivolte verso un incolpevole arbitro, giudicato venduto e cornuto come minimo.
Il risultato non si smosse da quel 0-0 tanto ingiusto quanto inutile per noi tifosi che rientrammo ai pullman dopo essere stati attaccati un paio di volte dai Drughi che cercavano di menar le mani.
Il ritorno a Roma fu più lungo del viaggio di andata e il leit motiv che dominava tutti i nostri discorsi era improntato sul gol di Turone che era stato anche stilisticamente ineccepibile: l’avvitamento del corpo del giocatore che si era tuffato per colpire il pallone.
L’ing. Dino Viola, con il suo aplomb che tutti gli riconoscevano, parlò alla Domenica Sportiva di aver perduto lo scudetto per una questione di centimetri e Boniperti, l’anno seguente, regalò al presidente della Roma, un metro per ironizzare sulla battuta del grande Viola.
Altri tempi ma con le ruberie bianconere di sempre.
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